Uno dei film più interessanti presentati alla Quinzaine des Realisateurs del 74° Festival di Cannes è indubbiamente Medusa, diretto da Anita Rocha da Silveira, al suo secondo lungometraggio di finzione dopo essersi cimentata – e si vede! – nell’horror e nel cinema di vampiri.
Ambientato in una metropoli brasiliana, che potrebbe essere Rio de Janeiro (tra l’altro città di origine della regista), il focus del film è sulla ventenne Mariana e su un gruppo di ragazze capitanate da Clarissa, una influencer bigotta, ma, al tempo stesso, ammiccante al pubblico di follower al quale si rivolge con video che scimmiottano una qualsiasi Chiara Ferragni.
Sullo sfondo si agita una setta religiosa, un nucleo integralista autoproclamatosi moralizzatore dei costumi di una società corrotta, che mira, però, a piazzare i propri leader, ampiamente secolarizzati quando si tratta della lotta politica, ai vertici del potere: il predicatore Guilherme, che manipola figuranti e pubblico, briga per farsi eleggere sindaco.
La setta di Clarissa e Mariana contempla un mondo terreno in cui donne e uomini agiscono su un piano morale agghiacciante: con le loro amiche formano una squadra di vigilantes che, indossando maschere inquietanti, scendono in strada la notte per dare la caccia alle giovani che hanno deviato – secondo loro – dalla retta via: un’Arancia Meccanica in versione carioca
Questa deriva violenta viene giustificata dai leader della setta con un richiamo al mito: tanto tempo fa, la bella Medusa fu severamente punita da Atena, la dea vergine, per aver perso la sua purezza.
Le certezze di Mariana, e via via delle altre compagne di fede, vacilleranno quando l’aspetto di donna perfetta comincerà a incrinarsi. Grazie anche all’incontro con Lucas, un bell’infermiere collega nella clinica in cui ha trovato lavoro, la voglia di urlare e di ribellarsi a questa follia diventerà sempre più forte.
Medusa fa seguito al film di debutto di Anita Rocha da Silveira Kill Me Please, presentato in anteprima a Venezia nel 2015, e segna il suo secondo film portato alla Quinzaine dopo il cortometraggio The Living Dead presentato nel 2012. La 36enne regista di Rio mette qui l’estetica horror e fantastica al servizio di una tagliente denuncia sociale, dipingendo un Brasile preda di pulsioni autoritarie che il motto nazionale – Dio, ordine e progresso – sembra incoraggiare. Anita Rocha e il suo energico cast, dal palcoscenico della Croisette, hanno voluto sottolineare questa denuncia alzando cartelli di protesta contro le politiche devastanti del Presidente Bolsonaro in tema di sanità pubblica, in particolare ai danni dei popoli indigeni dell’Amazzonia.