Cala il sipario sulla 17^ edizione della Festa del Cinema di Roma, la prima con un concorso cinematografico sottoposto al vaglio di una giuria, presieduta quest’anno dall’artista iraniana Marjane Satrapi e composta dall’attore e regista Louis Garrel, dai registi Juho Kuosmanen e Pietro Marcello e dalla produttrice Gabrielle Tana.
Il miglior film è dunque January, che si è aggiudicato anche il premio per la regia, andato al 51enne lettone Viesturs Kairišs, e il premio “Vittorio Gassman” per il miglior attore, al giovane Kārlis Arnolds Avots. Ma, attenzione, quest’opera etichettabile come film baltico d’epoca – è una coproduzione lettone, lituana e polacca – ha anche vinto il recente Tribeca Film Festival!
A Riga c’era la neve.
January è innanzitutto una dichiarazione d’amore per il cinema, attraverso le scelte e la passione di Jazis, uno studente di cinema che impugna cineprese con l’incoscienza e il coraggio tipici dei vent’anni, citando Ingmar Bergman, Andrej Tarkovskij, Stanley Kubrick e Jim Jarmusch, di cui attinge anche alla colonna sonora di Stranger Than Paradise firmata John Lurie, suo attore-feticcio nonché un discreto musicista all’epoca.
Un omaggio più diretto Kairišs lo riserva a Juris Podnieks, cineasta lettone della generazione precedente, morto a soli 42 anni, misconosciuto da noi ma figura-cult del cinema baltico come si evince dal film oggi premiato, in cui il gruppo di aspiranti registi gli riconosce il ruolo di mentore e di fonte di ispirazione per i loro sogni di gloria.
È Anna, la ragazza di Jazis, ad avere l’intraprendenza di contattare il carismatico artista – trovandone il numero semplicemente consultando l’elenco telefonico! – e di proporsi quale sua collaboratrice, scatenando però la gelosia e l’invidia del protagonista. Il quale pensava di essersi guadagnato sul campo i galloni del regista alternativo militante, avendo affrontato con una banale cinepresa in Super8 le milizie filorusse che stavano assaltando, per l’appunto nel gelido mese di gennaio del 1991, la sede della TV di Stato lettone.
Infatti, lo sfondo sul quale si svolgono le vicende di Jazis, della sua famiglia e dei suoi amici è la dissoluzione dell’URSS a seguito del crollo del muro di Berlino (9 novembre 1989). La popolazione delle tre repubbliche baltiche, Estonia, Lettonia e Lituania, fu tra le primissime a reclamare la definitiva fuoriuscita dalla sfera d’influenza che Mosca intendeva mantenere sugli Stati dell’ex Patto di Varsavia. Sicuramente la lotta per l’indipendenza e la libertà dal giogo sovietico è il tema forte del film, e qualche maligno ha anche insinuato che il parallelismo con l’attuale, terribile guerra di Putin abbia influito sulla decisione di assegnare il premio della Festa del Cinema di Roma… ma non vogliamo dar credito a queste voci, anche perché la scelta stilistica che permea l’opera fa propendere per una diversa tesi: effetto flou e uso di materiali d’archivio, pellicola sgranata e immagini di repertorio, tutto contribuisce a riprodurre lo stile degli anni ’80-‘90, grazie anche a robusti innesti musicali: oltre a Lurie, brani punk e new wave del Baltico.
Dunque, un film storico ma anche un racconto di formazione, in cui Jazis, Anna e gli altri si muovono a volte con la velocità di un bradipo per il torpore indotto dai lunghi anni di dominazione sovietica, a volte con la frenesia della gioventù che sente l’odore della libertà. Il tutto punteggiato da incontri/scontri con il mondo degli adulti: da un lato, gli affettuosi genitori di Jazis, a loro volta combattuti tra la sicurezza offerta dal sistema socialista e il desiderio di un mondo migliore; dall’altro, gli avidi esponenti della nomenklatura, sempre a caccia di privilegi pur in una società portata al collasso dall’interminabile Guerra Fredda che ha segnato il destino di generazioni di cittadini est-europei, e che – ahimé – sembra essere tornata drammaticamente in auge.
Non resta che invocare il potere taumaturgico della Settima Arte…
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