Dalla Gran Bretagna operaia, un’incantevole, minuta signora ci insegna a sognare in grande.

Un film tra favola, dramma e commedia, presentato alla 17a edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione Grand Public.

Chi di noi nelle grigie giornate di routine quotidiana non ha sognato di essere altrove e di dar vita ai propri sogni, benché impossibili? Nel caso di Mrs. Harris Goes to Paris, un delizioso film ambientato nella Londra degli anni Cinquanta, il sogno dell’indomita signora Harris, una governante che spera da anni di rivedere vivo il marito disperso in guerra, è quello di possedere un abito da sera firmato Christian Dior.

Adattamento dell’omonimo romanzo dello scrittore americano Paul Gallico (Mrs. Harris Goes to Paris, del 1958, ebbe grande successo e divenne il primo di quattro libri sull’amabile “Signora Harris”), Mrs. Harris Goes to Paris, diretto dal produttore e regista britannico Anthony Fabian ed interpretato dalla bravissima e versatile Lesley Manville – attrice britannica attiva in campo teatrale, televisivo e cinematografico, resa nota dai film di Mike Leigh – arriverà nelle sale italiane il 17 novembre, distribuito dalla Universal Pictures Italia.

Protagonista del film è Ada Harris (la Manville per l’appunto), una donna non più giovanissima che lavora a servizio in alcuni appartamenti di ricche signore londinesi, insieme all’inseparabile amica di colore Violet (la stupenda attrice inglese Ellen Thomas, originaria della Sierra Leone): generosa e sincera, ottima sarta (fa lavoretti per i vicini per arrotondare il magro stipendio), Ada attende il marito dalla fine della Seconda guerra mondiale, anche se ormai è evidente che non tornerà.
Grazie al suo umorismo, alla sua grande gentilezza ed apertura mentale, Mrs. Harris è molto apprezzata dalla piccola comunità in cui vive. Un giorno, nel rassettare la stanza di Lady Dant (Anna Chancellor), ricca ed odiosa signora che rimanda di giorno in giorno il pagamento del salario di Ada, si imbatte in uno splendido abito lilla di chiffon, con l’etichetta di Christian Dior. Da quel momento, Ada cercherà di risparmiare la cifra necessaria (giocando alle corse dei cani, vincendo al Totocalcio, contando sull’aiuto di chi la conosce e le vuole bene) per poter andare a Parigi, al numero 30 di Avenue Montaigne, e coronare il suo sogno di acquistare un abito per lei inarrivabile.

Da qui l’avventura parigina di Mrs. Harris si dipana fra favola, racconto di ‘classe’ e mutamento sociale.

Negli anni Cinquanta infatti Christian Dior realizzava, nel suo atelier di Parigi, abiti esclusivi confezionati a mano, a misura di clienti selezionate, ricche ed esigenti. Solo per una serie di fortunate ed alterne vicende Mrs. Harris parteciperà ad una sfilata e accederà all’atelier di Dior poiché nemmeno il denaro contante (che portava con sé nella borsa avvolto in un elastico) sarebbe stato sufficiente ad acquistare lo ‘status’ adeguato.

Ma proprio in quel periodo, a poco a poco, per stare al passo coi tempi ed evitare la crisi finanziaria, anche Dior iniziava ad aprirsi alla moda del prêt-à-porter, quella degli abiti venduti in taglie standard e non più esclusivamente di alta sartoria: per quanto “volgare”, il denaro guadagnato col lavoro dalle persone “normali” aiuterà i grandi stilisti a sopravvivere e l’intera economia a rimettersi in moto.

Di questa transizione, dunque, di divario sociale e culturale (upper-low class, Londra-Parigi, donne lavoratrici-donne consumatrici) parla Mrs.Harris Goes to Paris, unendo leggerezza e profondità, sogno e realtà, come nella scena in cui la piccola Ada (abituata alle lotte delle donne inglesi) guida lo sciopero delle sarte di Dior o quando si presenta alla Maison Dior col rotolo di contanti in mano ed incontra l’altezzosa e terribile Madame Colbert (una perfetta Isabelle Huppert) che, trasecolando, la caccia via in malo modo in quanto vestale delle tradizioni e dei privilegi del vecchio mondo.
Mrs. Harris dovrà dunque affrontare molte prove per cercare di ottenere ciò per cui è partita, aiutata da una modella di Dior che vorrebbe invece studiare filosofia (Alba Baptista), e dal giovane contabile che, grazie alla piccola grande donna, riuscirà ad esporre al temibile Dior, le sue idee per ripianare il disastroso bilancio dell’atelier.

All’interno del quadro storico della ‘ricostruzione’ post-bellica, con ancora molte rovine ben visibili intorno, il film (mediante la sagace penna di Paul Gallico) svela la vita ed i sogni della gente comune, il desiderio di dimenticare la guerra e al tempo stesso di farne memoria, attraverso un’incredibile galleria di personaggi sospesi fra tanti mondi (come il burbero Archie, un broker invaghito di Ada, interpretato dal simpatico attore Jason Isaacs), tutti in cerca di identità, come l’Europa di quegli anni.

La storia di Mrs. Harris è un incantevole pretesto per fotografare i desideri e le concrete possibilità di trasformazione di un’epoca e dei suoi protagonisti, ristabilendo nella giusta prospettiva, forse proprio grazie al ciclone della guerra, ‘valori’ quali il lavoro, la speranza, la solidarietà, per guardare al futuro con gli occhi autenticamente curiosi e positivi di Mrs. Harris e rimboccarsi le maniche come lei, ad ogni caduta, per rialzarsi e ripartire.

Mrs. Harris Goes to Paris

 

 

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