Un piccolo grande film, questo Le mie ragazze di carta firmato da Luca Lucini, che ha all’attivo titoli come Tre metri sopra il cielo o Amore bugie & calcetto molto diversi tra loro.
Una sfida vinta sul terreno della scrittura, come racconta lo stesso regista parlando di “una sceneggiatura a cui sono particolarmente legato, la prima storia che sento veramente mia”: Mauro Spinelli – al quale Lucini deve l’essere oggi un regista di cinema – ebbe modo di leggere “una storia scritta da me, una storia vera del mio passato, la storia di un cinema davanti a casa nel quale ad un tratto non potevo più entrare, senza capire il perché. Mauro scrisse la sceneggiatura di quel breve racconto che, spostando la storia da Milano a Treviso e con l’inserimento dell’epopea della famiglia Bottacin dalla campagna alla “metropoli”, divenne piena di significato e di poesia”.
La sceneggiatura vinse il Premio Solinas nel 2007 e, dopo aver accumulato esperienza, Lucini si è sentito in grado di gestire “un film molto più complesso di quanto possa sembrare”.
È interessante l’idea che sta alla base del soggetto: fine anni Settanta, una fase storica di trasformazione sociale intensa, tumultuosa e conflittuale, sotto tutti gli aspetti, dal rapporto città/campagna a quello intersessuale, fino all’imporsi di modelli di consumo sempre più cogenti.
Il film narra le vicende della famiglia Bottacin, composta dai genitori Primo, Anna ed il figlio quattordicenne Tiberio, che decide di trasferirsi dall’avita magione rurale – il patriarca della famiglia si accomiata con rabbia e tristezza per questa scelta – ad un anonimo appartamentino urbano, voltando le spalle alla vita contadina per cercare di garantirsi il famoso posto al sole nella società dei consumi che ogni membro della famiglia cercherà a suo modo.
Primo (un robusto Andrea Pennacchi) supera un concorso pubblico grazie alla classica “raccomandazione” di parte democristiana e diventa postino, preoccupato solo di non far brutta figura arrivando in ritardo il primo giorno di lavoro e di sfoggiare la sua divisa nuova fiammante.
Anna (una bravissima Maya Sansa in versione veneta) cerca di non sfigurare troppo tra le “sciure” della buona piccola borghesia trevigiana; il giovane Tiberio (il bravo e promettente Alvise Marascalchi) insegue un’irraggiungibile pornostar, dal pittoresco nome d’arte di Milly d’Italia vista sugli schermi di un cinema a luci rosse che sfida la morale di provincia; troverà poi il primo vero amore grazie alla determinata passione di una dolce coetanea.
La sceneggiatura – pur nella prevedibilità di alcuni snodi narrativi, a volte troppo scontati – apre ad inaspettate sfumature alcuni dei suoi protagonisti: in particolare, il severo pater familias Primo fa breccia un’umana comprensione e uno slancio solidale verso Claudio, un giovane al quale recapita la corrispondenza a domicilio, trovandolo un giorno dolente e dolorante per gli affronti che amanti meschini riservano ad un transessuale di una città di provincia.
Dal quel drammatico frangente che vede Primo soccorrere il giovane (Cristiano Caccamo, bravo nell’assimilare le lezioni del film di genere, da Priscilla, la regina del deserto a Breakfast on Pluto), nasce un’insolita quanto sincera amicizia che lascerà a ciascuno un arricchimento inatteso.
C’è spazio anche per la figura di Don Marcello, prete operaio appassionato di rugby, cui Neri Marcorè presta uno sguardo tra lo stralunato e il malandrino – e pour cause!
Le mie ragazze di carta si rivela, quindi, una commedia arguta e corale, con un buon soggetto e personaggi ai quali è difficile non affezionarsi per la loro debordante umanità.
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