Arnaud Desplechin, classe 1960 e relativamente ignoto al pubblico italiano dei non addetti ai lavori, è un veterano della Croisette ove viene costantemente candidato e non vince mai.
Questo suo ultimo lungometraggio, presentato in Concorso a Cannes 2022 e candidato alla Palma d’Oro… non l’ha vinta, ovviamente. L’ambito riconoscimento è andato infatti al pregevole Triangle of Sadness dello svedese Ruben Ostlund cui era già stata tributata nel 2017, per The Square.
A questo punto, la domanda sorge spontanea: Fratello e sorella, da oggi nelle sale italiane grazie a Movies Inspired, meritava l’ambito riconoscimento?
Si e No.
Sono malato di cinema francese e la regia di Desplechin, un valido montaggio, prove recitative di altissimo livello, un’ottima fotografia mi hanno emozionato e coinvolto durante la visione ma la sceneggiatura… partendo (ciò le fa onore) da dinamiche polanskiane e bergmaniane… ci pone di fronte ad un kammerspielfilm, a tratti metalinguistico (quasi un teatro nel teatro) ma troppo spesso discontinuo e con dei buchi imperdonabili.
Se lo si paragona alla cinematografia italiana degli ultimi 20 anni, Fratello e sorella nuclearizza a mani basse il 98% delle produzioni distribuite in sala ma, se lo confrontiamo con i giganti cui si ispira…
Ecco, in estrema sintesi, la ragione per cui il buon Arnaud non ha mai trionfato sulla platea dell’esigentissima Cannes.
Discorso a parte va fatto per quella dea vivente chiamata Marion Cotillard che ci regala una prova d’attrice fantasmagorica, tanto da oscurare praticamente la maggior parte del cast, se si eccettuano il valente coprotagonista Melvil Poupaud e la splendida attrice iraniana Golshifteh Farahani, il cui volto brilla di luce propria e vale da solo il prezzo del biglietto; se a ciò si aggiunge che la suddetta suona il pianoforte dall’età di cinque anni ed ha portato avanti sin da adolescente entrambe le carriere ad altissimi livelli… si può soltanto sperare che i produttori cinematografici “all’ascolto” le offrano parti sempre più importanti.
Come spesso è accaduto negli ultimi anni, quindi, a reggere il film sono le figure femminili e con una sceneggiatura più solida (la suddetta è stata scritta dallo stesso regista insieme a Julie Peyr… e si vede), l’impareggiabile Cotillard avrebbe reso questo film un diamante. Le figure maschili sono infatti, sacrificate sotto il peso del dramma ed alcune provocano rabbia nello spettatore attento perché se ne percepisce il soffocato valore.
Due su tutte: Benjamin Siksou che avevamo già incontrato in La vie d’Adèle e Max Baissette de Malglaive, probabilmente uno dei volti giovani più espressivi del cinema francese contemporaneo, il quale viene inghiottito dai buchi neri di sceneggiatura senza che ne venga sviluppato il personaggio, peraltro importantissimo ai fini della narrazione!
Consiglio comunque ed ampiamente la visione di Fratello e sorella perché la Cotillard e la Farahani reggono mirabilmente da sole il peso della storia e per la prima si tratta, probabilmente, di uno dei ruoli psicologicamente più complessi che le siano stati proposti sino ad ora: “Non ho mai creduto nel cosiddetto metodo, cioè nell’idea di immedesimarsi nel personaggio al punto di vivere nella sua pelle anche fuori dal set. Ma stavolta, per la prima volta in carriera, ho deciso che per interpretare Alice, al di fuori delle riprese non avrei mai rivolto la parola al mio partner, Melvil Poupaud. Lui all’inizio ci è rimasto male, ma poi terminato il film ho cercato di spiegargli che dovevo trovare un appiglio per odiarlo con tutte le mie forze”.
Questo suo altamente disciplinato approccio, algido e durissimo, trapela da ogni inquadratura, in glorioso contrasto con una bellezza ed una femminilità dirompenti (neppure il trucco “imbruttente” e la tragedia alla “Il lutto si addice ad Elettra” sono in grado di oscurare il sole), salvando parzialmente il film dall’orribile quanto banale trappola del teatro filmato che, al cinema, risulta troppo spesso insopportabile.
Auguro, quindi, ad Arnaud Desplechin di mangiarsi un’immensa fetta di humble pie e concentrarsi sulla regia, la prossima volta. La scrittura e la sceneggiatura sono un’altra storia e pochissimi registi sono emersi senza le ossa rotte dalla trappola dell’indossare troppi cappelli .
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