Fino al 3 Dicembre 2023 sarà possibile ammirare ai Musei Capitolini un’opera spettacolare e “cinematografica”, La Deposizione di Cristo di Jacopo Tintoretto, in prestito temporaneo dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia. La grande opera, quasi un piccolo schermo cinematografico sui cui Tintoretto proietta un fermo immagine della sequenza evangelica della Deposizione, viene datata intorno al 1562, periodo artistico in cui il Rinascimento ed il suo Neoclassicismo ante litteram, iniziano una metamorfosi lunga e sofferta verso la germinazione neoplastica del Barocco.

Epoca di mutamento dalle grandi potenzialità espressive, il Manierismo contiene nel termine stesso un’accezione negativa quando invece può essere considerato un anelito vitale ad uscire da una perfezione oramai ferma e statica. Se il Rinascimento può appunto essere considerato un vino sublime, perfetto nei suoi aromi e sentori, ma un vino fermo. Il Barocco, dalla pittura, all’architettura e soprattutto alla scultura, può essere visto o meglio assaporato come uno champagne, un vino effervescente, dalle pulsanti, teatrali ma anche continuamente varianti ed indecifrabili bollicine.

Tra questi due estremi estetici e semantici, il Manierismo reca in sé il massimo di potenzialità, essere non più Rinascimento ma non ancora Barocco, il Manierismo come una sorta di Multiverso artistico e creativo all’interno del quale sono presenti tante ipotesi possibile verso cui sarebbero potute andare diverse, alternative storie dell’arte. Il Manierismo, con la sua tensione drammatica tra stasi e movimento segna una prima frattura e spinta di un’arte “ferma” appunto come la pittura verso la tentazione di una messa in scena tridimensionale, dinamica e con l’aggiunta della dimensione del tempo. Questo controsenso concettuale ed ontologico si risolverà tre secoli dopo con l’invenzione del cinematografo.

Ma con il Manierismo prima ed il Barocco successivamente, i grandi artisti di quei decenni concepiscono opere meravigliose in cui la tensione e la torsione dei corpi suggeriscono e quasi inscenano un movimento ed una durata della rappresentazione. Spesso anche il quadro sembra già essere una inquadratura. I soggetti sono disposti non nella logica di una allegoria, di una simbologia, di una iconografia con i suoi codici ed i suoi stilemi ma nella reale intuizione di un “fermo immagine” sulla scena, in questo caso, della Deposizione di Cristo.

E come non vedere nelle opere di Caravaggio, ma anche in questa del Tintoretto che sembra anticiparle, un chiaroscuro che rende i colori cupi e pallidi e che pare il lavoro non di un pittore ma di un direttore della fotografia. Il colore di alcuni dipinti sembra acromatico, desaturato, sembra emergere da poco dal bianco e nero o da un virato seppia o carminio.

Per non parlare dei volti “pasoliniani” del Caravaggio che già in questa Deposizione fanno Apparizione. Le cinque figure presenti nell’inquadratura del Tintoretto hanno fattezze realistiche, popolari, stravolte nella tragicità del Momento Mori. I personaggi non hanno ancora la sfacciataggine dionisiaca e pagana che hanno reso così moderna e pop l’immaginario caravaggesco ma proprio per questo, forse, questo meraviglioso grande dipinto del Tintoretto appare oggi meno “inflazionato”, meno “facile”, più intenso ed interessante della successiva opera di Caravaggio.

L’opera in mostra a Roma appare come un diamante antico e contemporaneo ed anche un grande oggetto di studio, a nostro parere, in chiave cinematografica. I personaggi appaiono a grandezza naturale, la prospettiva, pur rispettata, lascia spazio, anzi campo, ad una sorta di rotazione, torsione concentrica, il Cristo, in teoria protagonista della Deposizione appare senza volto o quasi, nascosto dall’Ombra. La Madonna è svenuta mentre sono le tre figure in alto al quadro ad essere attive e vitali.

Quale grande regista del passato o del presente potrebbe ricreare una scena di tale potenza ed evocatività?

Un regista “manierista”?

Un direttore “rinascimentale” o “barocco”?

Ai posteri l’ardua sequenza.

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