Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese, presentato fuori concorso a Cannes 2023, racconta la vera storia del massacro della tribù indiana di Osage.

Dopo il trionfale passaggio a Cannes, il film uscirà finalmente nelle sale  italiane Giovedì 19 Ottobre, grazie a 01 Distribution.

Tratto dall’omonimo romanzo di David Grann uscito nel 2017, il film narra la vera storia di una serie di omicidi avvenuti in Oklahoma ai danni della Nazione Osage durante gli anni anni venti, dopo che la tribù aveva scoperto dei giacimenti di petrolio all’interno della riserva, con tutte le conseguenze che tale improvviso benessere gli porterà.

Lily Gladstone e Martin Scorsese

Interpretato da Leonardo DiCaprio, con Robert De Niro, Lily Gladstone, Jesse Plemons, Brendan Fraser e John Lithgow.

L’incontro tra DiCaprio e De Niro, diretti più volte in passato da Scorsese, è senza dubbio uno degli elementi da non perdere.

Nel corso della narrazione, spicca la protagonista femminile Lily Gladstone, nativa americana, per la cui mirabile interpretazione è possibile pronosticare un Oscar nel 2024; suo è il ruolo della moglie scelta dal protagonista DiCaprio per uno scopo tutto fuorché romantico.

Partendo dal libro, il cui titolo italiano è Gli assassini della terra rossa, la pellicola di Scorsese ci conduce all’interno di una storia ignota al pubblico europeo ma molto attuale: l’azione violenta e la repressione dei diritti di una popolazione per impadronirsi delle sue risorse, in questo caso del petrolio.

All’interno del film vediamo comparire molte figure storiche dell’epoca, a partire dall’agente FBI della neonata agenzia fondata da J.Edgar Hoover.

La trama si sviluppa in modo diverso rispetto al libro da cui è tratta, per una precisa scelta registica di Scorsese, il quale porta sul grande schermo  una di quelle storie epiche che ci ricordano molto il nostro Sergio Leone, con scene in campo aperto, attente ricostruzioni storiche ed un velato tocco di malinconia.

Incroci  della pellicola in bianco e nero scelti per raccontarci come l’improvvisa ricchezza porta gli indiani (termine non esatto, visto che dovremmo parlare di nativi americani) dell’Osage Nation, a spendere in gioielli e lussuose auto la loro fortuna e ad essere sfruttati in realtà da avidi bianchi che lavorando all’interno delle loro concessioni lentamente cercano di impadronirsi della loro terra ricca di petrolio, attraverso matrimoni o direttamente assoldando degli assassini.

Leonardo DiCaprio e Lily Gladstone

La pellicola di Scorsese è una lenta ed implacabile storia sullo sfruttamento da parte degli uomini bianchi che spogliano lentamente la nazione Osage della sua ricchezza e di tutte quelle quelle che gli avidi venditori gli hanno fornito; l’ennesimo capitolo di una storia criminale degli Stati Uniti, definita dallo stesso Ministero di Giustizia dell’epoca come una delle peggiori pagine della storia della nazione.

Scorsese, questa volta, non ci regala eroi o cattivi; la sua è una fredda e spietata analisi degli eventi realmente accaduti, pervasa da un tocco di malinconia, con lo sguardo sempre rivolto a quegli uomini che si comportano come lupi feroci, a partire dalle loro smorfie facciali.

La tribù Osage subisce, nella sua perdita di innocenza, tutta la corruzione del denaro, dell’alcool e di tutto ciò che di negativo l’uomo bianco è riuscito a portare con sé, in nome della ricerca del profitto.

Un film che resterà di certo in una delle grandi pagine di storia del cinema, restituendo al pubblico di oggi una storia all’apparenza lontana ma in realtà sempre presente nell’evoluzione del genere umano, quella di un popolo prevaricato al punto da portarlo quasi sull’orlo del genocidio, pur di impadronirsi delle sue preziose risorse.

Tutto è perfetto nell’epopea di Scorsese, anche la giusta durata temporale di impegno per lo spettatore; siamo di fronte ad una pellicola di cui il sommo maestro Sergio Leone avrebbe sicuramente apprezzato i toni crepuscolari e, last but not least, un finale inaspettato con il quale il regista si consegna al cinema, al suo pubblico ed all’immortalità che la settima arte regala ai grandi.

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