Finalmente l’alba di Saverio Costanzo, presentato in Concorso a Venezia 80, esce emblematicamente oggi (Festa di San Valentino) nelle sale italiane, distribuito da 01 Distribution.
Nella Roma del 1953, subito dopo la visione di un film neorealista con protagonista Alida Valli (Alba Rohrwacher), la vita delle due giovani sorelle Iris (Sofia Panizzi) e Mimosa (Rebecca Antonaci) potrebbe cambiare da lì a breve perché un dipendente degli studi di Cinecittà le nota al momento dell’uscita, proponendogli di partecipare alla selezione delle comparse per un nuovo film peplum.
Dopo un’iniziale opposizione da parte della madre (Carmen Pommella), le ragazze riescono a recarsi ai provini. Iris viene presa subito; Mimosa invece no ma, per pura casualità, viene poi notata dall’attrice protagonista, Josephine Esperanto (Lily James), venendo dunque richiamata per far parte del gruppo dei figuranti speciali. Un’avventura inaspettata per Mimosa che sembra non finire una volta spente le luci del set, grazie ad un invito a cena da parte dei due protagonisti, Josephine e Sean Lockwood (Joe Keery).
Sarà una notte luminosa, come quella delle stelle di Hollywood… o pericolosa come quella di una gazzella vicino ad una leonessa in libertà?
Sia leggendo questa sinossi che durante la visione della prima parte di Finalmente l’alba è facile, soprattutto per lo spettatore più giovane, vedere delle similitudini con Babylon di Damien Chazelle perché in entrambi i lungometraggi si vede il sogno di una persona giovane di lavorare nel mondo del cinema, la produzione e i “dietro le quinte” di pellicole tanto lontane da quelle di oggi (per via dell’abuso di effetti visivi rispetto alle lavorazioni artigianali di un tempo) ma anche l’altra faccia di Hollywood, quella pericolosa soprattutto per le ragazze giovani, belle ed innocenti che rischiano seriamente, quando si ritrovano in certe feste notturne in grandi ville dove abbondano alcol, sostanze stupefacenti e desideri sfrenati di lussuria.
Somiglianze dunque più che giustificate, anche se l’ispirazione di Saverio Costanzo viene da tutt’altra parte, ossia da La dolce vita di Federico Fellini perché entrambi i film parlano in qualche modo di Wilma Montesi; il suo film, quindi, è una storia fantastica mista ad elementi reali (come la già citata Alida Valli) che affronta il tema dell’emancipazione femminile, condannando un sistema ed una mentalità pericolosi, in cui a rimetterci sono soprattutto le donne.
Passato dunque l’amarcord iniziale fatto di visioni di pellicole neorealiste e di racconto della “Hollywood sul Tevere” degli anni ’50, Finalmente l’alba diventa un lungometraggio decisamente drammatico, a tratti quasi un film di sopravvivenza, con alcuni elementi che magari non lo renderanno accessibile a tutti (soprattutto ai non vedenti ed ai dislessici) ma che sono in grado di rappresentare al meglio la situazione, ossia il fatto che la recitazione è molto multilingue.
Oltre all’italiano ed al romanesco, abbiamo infatti piccoli momenti in lingua svedese oltre all’inglese americano, il quale spesso e volentieri si fonde all’italiano; scelta brillante quella di far interpretare a Willem Dafoe il ruolo del gallerista Rufo Priori: chi meglio di lui che è un americano divenuto romano d’adozione?
Finalmente l’alba è una delle produzioni italiane più costose e ricche di stelle internazionali degli ultimi tempi; si spera quindi che possa avere un riscontro favorevole da parte del pubblico in sala.
In conclusione, ecco a voi le dichiarazioni rilasciate dai protagonisti durante la conferenza stampa romana.
Saverio Costanzo: “La suggestione iniziale è felliniana perché la ragazza sulla spiaggia sul finale de La dolce vita che prova a parlare con Marcello per Fellini era Wilma Montesi. Spesso lavorare sull’epoca ci aiuta moltissimo a capire dove siamo arrivati, chi eravamo e cosa siamo oggi.
In un certo senso, partendo dallo spunto di questo fatto di cronaca, che per Fellini era la fine dell’innocenza di un Paese e che nel momento in cui sono arrivati i tabloid a speculare sul mistero ancora irrisolto della Montesi poiché c’erano persone del mondo della politica e dello spettacolo coinvolte, la gente diventò ossessionata dal gossip che circolava intorno a questi possibili carnefici dimenticandosi completamente la vittima, ed è una modalità che oggi noi abbiamo assunto da stato assoluto, nel senso che non sentiamo praticamente più niente.
E quindi partendo da quello ho immaginato un film con una diva degli anni ‘50 che per avere il potere di essere libera era costretta a compiacere l’aspettativa del maschio nei suoi confronti, e che questa diva parlasse potesse parlare con una ragazza di oggi, perché il presente vince sul passato, a un certo punto del film Rebecca è una ragazza di oggi, invitandola ad essere ostinatamente sé stessa senza per forza compiacere lo sguardo del maschio”.
Lily James: “In effetti poter interpretare Josephine Esperanto mi ha dato la possibilità di studiare tutte le dive dell’epoca, ad esempio ho rivisto moltissimi film di Joan Crawford. Ciò che ho percepito è che questo personaggio fosse comunque un personaggio moderno e questo suo presentare una sua versione per poter raggiungere il successo e per poter essere amata, arrivando ad oscurare la sua vera se stessa e come diceva Saverio indossare una maschera era necessario per poter ottenere il potere, in contrasto con quello che aveva dentro.
L’incontro con Mimosa la mette di fronte alla purezza ed alla verità; quindi è stato molto bello poter esplorare il dialogo tra questa donna e questa giovane, nonostante la differenza di epoca, perché anch’io percepisco queste donne come moderne.”.
Rebecca Antonaci: “La cosa più difficile è stato togliere il giudizio dagli occhi di Mimosa perché noi appunto apparteniamo a due epoche diverse ed ovviamente negli anni ’50 la famiglia era importante e ti diceva cosa dovevi fare, anche chi sposare. Io vado molto contro questa tipologia di rapporto ma, allo stesso tempo, Mimosa non era consapevole della sua situazione; quindi è stato difficile togliere il giudizio nei confronti dei genitori e della società.”.
Alba Rohrwacher: “La cosa che mi sembrava più interessante della scrittura del personaggio di Alida Valli era mettere in scena un personaggio realmente esistito, una grandissima attrice, e renderle omaggio in modo molto profondo perché Alida è sì parte di questo circo di personaggi che Mimosa incontra e sposa completamente questo mondo controverso ed ambiguo che minaccia questa ragazza ma, dall’altra parte, è comunque l’unica in grado di intercettare l’autenticità di Mimosa e di avere l’umiltà di metterla in guardia rispetto alla possibilità di un pericolo.”.
Joe Keery: “Devo dire che la mia fortuna è stata quella di incontrare Saverio e di poter accogliere il suo invito a collaborare a questo film. Sono stato molto felice di aver fatto parte di una squadra e l’esperienza di girare a Cinecittà è stata assolutamente incredibile.
Lockwood è sicuramente un attore ed un uomo molto arrabbiato che, nell’occasione, riesce a rivolgere l’attenzione nei confronti di se stesso, ponendosi delle domande su che cosa effettivamente significhi essere attore perché spesso è un tipo di professione che può portare a perdere di vista quello che è l’obiettivo finale; ti perdi la possibilità di tante cose che accadono attorno a te e che invece possono essere di arricchimento. Lui tende ad essere abbastanza autoreferenziale ma non si rende conto di quanto è divertente in questo suo atteggiamento.”.
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