Vita da gatto di Guillaume Maidatchevsky, al cinema dal 18 Aprile distribuito da Plaion Pictures, narra la storia della piccola Clémence (la brava e carina Capucine Sainson-Fabresse) e del suo gattino Rroû, da lei salvato.
Tra una Parigi malinconica ed una magica campagna il regista – che già ci aveva deliziato con Kina e Yuk alla scoperta del mondo – ci regala le più belle e dolcemente struggenti sequenze feline che si siano viste sul grande schermo nel nuovo millennio.
Peccato che non riesca a fare lo stesso con gli adulti bipedi umani che, ad eccezione della carismatica, saggia ed apparentemente assai scontrosa Madeleine (una Corinne Masiero in stato di grazia che vale da sola il prezzo del biglietto), risultano pesantemente bidimensionali e poco plausibili.
Poiché la storia ruota intorno alla separazione dei genitori di Clémence, il fatto che essi sembrino figurine stordite e si esprimano attraverso una montagna di luoghi comuni non giova affatto alla narrazione ma ogni volta che la camera si rivolge verso un micio… la poesia riempie lo schermo.
L’amicizia tra il ribelle fuggitivo Rroû e la gattina dei boschi Câline è pura poesia e la durezza, alla Fratelli Grimm, della sequenza notturna dei boschi con il cinghiale è grande cinema.
Ispiratosi all’omonimo classico francese di Maurice Genevoix, Vita da gatto ci porta dentro un universo che è sempre esistito intorno a noi ma nessuno aveva deciso di esplorare sul grande schermo con tale dovizia di particolare ed inquadrature così rispettose dei nostri amatissimi gattini e della loro natura che oscilla perennemente e costantemente tra il domestico ed il selvatico non appena gliene viene data l’occasione.
Con le parole del regista: “Come dice Genevoix nel suo romanzo, ‘il gatto acconsente’. C’è questo lato in lui che dice: ‘Se mi va’”.
Gran parte del film si svolge nei Vosgi ed è sempre Maidatchevsky a spiegarcene la ragione.
“Mi interessava l’aspetto montuoso e in questa regione si vedono molto bene le variazioni delle stagioni. Questo ci ha permesso di incarnare soprattutto l’inverno. E ha reso possibile anche la presenza della lince, che è presente in questa zona. Mi piaceva anche il tipo di foresta che ti immerge immediatamente nel mondo del racconto, con il muschio e la luce magnifica. Tutto questo si adattava bene al mondo del film”.
Vedere una così sensibile interpretazione dello spirito del romanzo, ormai quasi centenario, riempie il cuore di gioia.
Non posso, quindi, che consigliarvi di vederlo… ignorando tutti i bipedi tranne due. 😉
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