Presentato in anteprima a Venezia 80, dove ha vinto il Premio Orizzonti per il Miglior Film, l’ungherese Una spiegazione per tutto, del regista Gàbor Reisz, è nelle sale italiane dal Primo Maggio grazie ad Arthouse, la label di I Wonder Pictures dedicata al cinema d’autore più innovativo.
Ambientato nell’Ungheria contemporanea, Magyarázat mindenre (questo il titolo originale) è il sorprendente ritratto di un Paese in fin dei conti poco conosciuto nel resto dell’Europa, al quale semmai si guarda con un certo sospetto giustificato dal saperlo consegnato ad un regime fascistoide – vedi l’accanimento giudiziario e carcerario nei confronti della nostra concittadina Ilaria Salis, rea di aver partecipato ad atti di protesta contro una manifestazione di nostalgici filonazisti, verso i quali il regime di Viktor Orbán mostra un’incredibile compiacenza.
Resistono però degli anticorpi democratici, il che porta inevitabilmente a forti tensioni e divisioni interne; è da qui che parte la storia raccontata da Reisz insieme alla cosceneggiatrice Éva Schulze, sua ex professoressa all’Università di Teatro e Arti Cinematografiche di Budapest.
Il tutto inizia con il diciottenne Abel che si prepara a sostenere l’esame di maturità, sotto la pressione di un padre esigente (“Sai chi è mai stato bocciato nella nostra famiglia? Nessuno!”) e di fede politica conservatrice.
E poi c’è Janka, la compagna di scuola preferita, di cui Abel si scopre innamorato.
Peccato che lei sia, a sua volta, invaghita di Jakab, il fascinoso professore di storia, al quale fa una dichiarazione d’amore a metà tra il comico ed il patetico (“Sì, abbiamo 19 anni di differenza ma è solo una convenzione sociale…”).
Il povero Abel va in confusione ed all’esame succede il patatrac: malgrado le domande non certo insormontabili (la rivoluzione industriale, Giulio Cesare) e nonostante lo stesso Jakab cerchi di metterlo a suo agio concedendogli più tempo per rispondere, il candidato viene bocciato.
Tragedia in famiglia: davanti al padre che lo incalza cercando di capire come sia stato possibile un esito del genere, il giovanotto non trova di meglio da fare che accusare il professore di avercela con lui, forse a causa della “coccarda nazionalista”: in occasione del 15 Marzo, anniversario dell’indipendenza magiara del 1848, è infatti consuetudine indossare una spilla con i colori della bandiera e, guarda caso, Abel l’aveva appuntata proprio sulla giacca indossata il giorno dell’esame…
Soffia sul fuoco Erika, una ragazza acqua e sapone che vuole farsi strada nel giornalismo e si tuffa sulla storia della coccarda – di cui ha sentito parlare per caso – scrivendo un articolo che trasforma un banale episodio scolastico in un caso politico.
Da qui si innesca uno scandalo che rischia di travolgere tutti i protagonisti: Abel, accusato dall’amata Janka di voler rovinare il professore progressista, il padre che lo affronta, il preside della scuola.
Nelle sue note di regia, Gàbor Reisz così ricostruisce l’origine del film: “La frattura che attraversa il Paese è presente da anni, non solo in parlamento, ma anche nella vita di tutti i giorni, nei rapporti tra le persone, per strada. Per me, uno degli esempi più espressivi di questo conflitto è l’indossare la spilla con i colori nazionali”.
Una frattura che ha trasformato l’Ungheria in un luogo ove regna l’incomunicabilità, come ben mostrato dagli antagonisti più caratterizzati: il padre di Abel, aderente a Fidesz, il partito di destra al governo ed il Professor Jakab, che manda all’aria l’intervista a cui teneva molto con un anziano partecipante alla Rivolta del 1956 contro l’Unione Sovietica.
Insomma, un’opera che parte in sordina ma che, sequenza dopo sequenza, definisce un quadro che è insieme personale e collettivo, impartendo soprattutto una bella lezione ai profeti dell’intolleranza.
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