Il gusto delle cose di Trần Anh Hùng è nelle sale dal 9 Maggio, distribuito da Lucky Red.
Vincitore del Premio per la Miglior Regia al 76° Festival di Cannes, l’ultimo film del raffinato regista vietnamita è una gioia per i cinque sensi, un inno a gustare la vita fino in fondo.
Candidato dalla Francia all’Oscar per il Miglior Film Straniero, il film è ambientato nella Francia di fine ‘800 e vede Juliette Binoche nei panni della sopraffina cuoca Eugénie, da oltre vent’anni collaboratrice del famoso gastronomo Dodin (interpretato dal Premio César Benoît Magimel).
Fra loro, oltre al sodalizio culinario, col passare degli anni, si è consolidata anche una particolare relazione sentimentale, legata sensualmente al cibo, al gusto, alla bellezza, alla ricerca dei dettagli e del pieno godimento della vita.
Il Gusto delle Cose (titolo un po’ banalizzante rispetto all’originale La Passion de Dodin Bouffant) è diretto, con dedizione ed amoredal regista vietnamita Trần Anh Hùng, che nel 1993, circa 30 anni fa, sempre al Festival di Cannes vinse la Camera d’Or con il film Il profumo della papaya verde, opera che lo rese internazionalmente celebre.
La mano del maestro, oggi nella sua piena maturità artistica, si rivela nei dettagli magnifici curati in ogni scena, quando la videocamera si sofferma sul prima e sul dopo di alcuni momenti topici, sulla cucina come luogo di scambio del quotidiano e dell’affermarsi di una relazione intima, amorosa ma capace di mantenere una distanza, sulla magnificenza della natura esterna, che segna il ritmo del trascorrere del tempo, proprio e degli esseri viventi.
Il Premio alla Regia assegnato al regista dalla Giuria del Concorso al 76° Festival di Cannes è un premio ampiamente meritato.
Liberamente ispirato al romanzo di Marcel Rouff, The Life and Passion of Dodin-Bouffant, gourmet, il film racconta una bellissima storia (che immagina però il rapporto tra i protagonisti durante la loro vita e la loro coniugalità, al contrario del libro), delicata e al tempo stesso estremamente significativa, quella della lunga relazione tra Eugénie e Dodin che, a cavallo fra Ottocento e primi Novecento in Francia, condividono una storia di gastronomia ad alto livello, tra passione per il cibo e sentimenti di vero, nobile amore.
Dodin Bouffant è un rinomato chef ed Eugénie la sua assistente che, negli anni, ha saputo conquistarsi un posto unico nella vita e nel cuore di Dodin: i due infatti sono su una stessa lunghezza d’onda nella profonda conoscenza dell’arte culinaria, nella paziente ed intuitiva gestione delle più complesse ricette da proporre anche agli ospiti più illustri, e la loro intesa si è affinata grazie alla loro relazione sentimentale.
Lei realizza con abilità superiore allo chef, capacità creativa ed autonomia, le ricette da lui proposte, e ne inventa di nuove, in uno scambio attivo ed inebriante per entrambi. Ma Eugénie ha sempre rifiutato le proposte di matrimonio di Dodin, almeno fino al giorno in cui lui decide di cucinare per lei (convalescente e con problemi di salute) un pasto sopraffino, dedicato solo a lei, come forma di riconoscenza e seduzione al tempo stesso.
Juliette Binoche e Benoît Magimel non potevano interpretare meglio i ruoli di Eugenie e Dodin, misurati ma intensi: lei sprigiona grazia e sapienti sorrisi, lui ben nasconde il fuoco della passione e della gratitudine che sente per la donna. Entrambi sentono ed esprimono il privilegio di vivere una storia umana e professionale così importante.
Fra i due protagonisti corre una tensione trattenuta che si manifesta, esteriormente, nel dare vita ad una cucina prelibata e semplice, basata su ingredienti sani e locali, che possa soddisfare il palato elevando l’anima a sfere superiori. Eugénie, una sempre splendida Juliette Binoche, ama Dodin ma è anche affezionata alla sua libertà e non lo ha mai voluto sposare. Finché lui invertirà i ruoli, cucinando per lei, come atto di amore supremo.
“La bellezza della loro relazione risiede in quella resistenza – spiega il regista Trần Anh Hùng – Dodin è ancora innamorato di lei dopo tutti questi anni perché sente di non averla mai posseduta nella sua interezza. Una parte di lei resiste ancora. (…) Invece, quando si tratta del cibo, sono in perfetta comunione. Questa è la fonte della loro chimica; elevare la gastronomia a vera e propria arte. Cos’è l’arte se non una capacità di godere? La gastronomia punta su un senso estraneo alle altre arti: il gusto. Un artista gastronomico sa distinguere sapori che noi non riusciamo a distinguere con così tanta precisione; sa frullare, misurare, bilanciare sapori, profumi, consistenze, temperature… “.
Tante le scene in cui ‘realmente’ si cucina (il cibo è tutto vero) e si mangia con gusto: sembra che il regista abbia avuto problemi, in alcune scene, a far smettere di mangiare gli attori del film. In cucina, Juliette Binoche, Benoît Magimel e il resto del cast hanno avuto infatti difficoltà a resistere alle delizie culinarie, come spiega Trần Anh Hùng: “Gli attori si lasciavano trasportare. Quando ho detto “Taglia!” in una scena del pasto, hanno continuato a mangiare. Il team di oggetti di scena ha dovuto pregarli di restituire i piatti.
La consulenza per le pietanze e le coreografie eseguite dai protagonisti in cucina (i primi 15 minuti si svolgono nel silenzio, nella preparazione comune di piatti sempre in evoluzione) sono state curate dallo Chef stellato Pierre Gagnaire che ha sovrinteso la preparazione di tutti i piatti cucinati e decorati nel film, oltre che l’uso dei termini utilizzati.
“I ritmi della sala cinematografica e della cucina sono diversi, tanto frenetici in un ristorante quanto caotici al cinema – ha dichiarato Pierre Gagnaire –Ma in entrambe le discipline il lavoro di squadra è vitale. Cosa potrebbe fare un regista senza il direttore della fotografia, senza gli elettricisti e i finanziatori? E cosa potrei fare io senza collaboratori, senza sous chef … Ed entrambi hanno la stessa idea di regia. Perché la gastronomia – come mostra bene Tran Anh Hung nel suo film – è anche sinonimo di spettacolo.”
Trần Anh Hùng si è posto, nel film, la sfida di filmare la cucina in un modo senza precedenti: il regista ha chiesto a Pierre Gagnaire di preparare il cibo prima delle riprese e sul set non c’erano piatti finti, a differenza della maggior parte dei film su questo argomento. Catturare con successo la preparazione dei piatti ha richiesto una disciplina inesorabile da parte dei team tecnici, vincolata a movimenti quasi coreografici.
“Hung è venuto a pranzo a casa mia per la prima volta – racconta Gagnaire – Era un giorno d’inverno e io ricordo di avergli servito un pot-au-feu a modo mio che era sul menu in quel momento. Dopo essersi complimentato, Hung mi ha confidato il suo desiderio di fare un film sulla storia di Dodin Bouffant – ‘Un film che parlerà di pot-au-feu, mi ha detto. Mi aiuteresti?’ lo conoscevo il suo lavoro di regista e in quel momento stavo scoprendo l’uomo, la sua gentilezza, una rara eleganza… lo sono uno che lavora d’istinto: ho detto di sì con entusiasmo.”
“Da anni cercavo un tema inerente la gastronomia come opera d’arte – racconta il regista – alla fine mi sono imbattuto nel libro di Marcel Rouff, che scrive magnifiche pagine sull’arte culinaria ed offre anche l’occasione per esplorare un tema poco trattato al cinema, specie se le cose vanno bene: la coniugalità. C’è, in questa coppia, un’alterità e una complicità non comuni all’inizio del Novecento. Dodin ama la vita in un modo che definirei molto francese. I due non sono dentro una forma di romanticismo, non vivono nemmeno una passione esacerbata, ma sono dentro una perfetta misura, in un rapporto misurato con il mondo e la natura.
Mi piaceva molto questa forma di morbidezza e moderazione che ritroviamo nell’arte e nello spirito In questo senso, penso che il mio film sia estremamente francese. Rimane il desiderio di Dodin di sposare Eugenie, la quale resiste, elevando una barriera che è una forma di mistero. La bellezza della loro relazione viene da questa resistenza. Se Dodin è ancora così innamorato di lei dopo tutti questi anni, è perché sente di non poterle prendere tutto.”
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