“Sono stati bellissimi questi primi incontri con il pubblico.
È una grande gioia vedere i cinema pieni, condividere il rituale della sala, sentire il calore degli spettatori, quelli più comunicativi che vogliono commentare e discutere, quelli che rimangono silenziosi e discreti, ma raccontano con gli occhi che sono contenti di essere usciti di casa per vedere un film.
È sempre un momento magico, dopo anni di lavoro su un immaginario, vivere il momento in cui quel mondo si trasforma nel cuore, nella mente e nella pancia dello spettatore, che lo fa suo e se lo porta a casa”.
Maura Delpero ha vinto il Leone d’Argento all’81° Festival di Venezia – l’illustre giurata Agnieszka Holland le ha consegnato il premio con un abbraccio – con un film inatteso e sapiente, candidato italiano agli Oscar 2025, che fonde l’estetica cinematografica con il racconto d’autore: Vermiglio, nelle sale italiane dal 19 Settembre, grazie a Lucky Red.
Lessico familiare dalla parte di donne e madri. Dramma e poesia nel Trentino della Seconda Guerra Mondiale.
Un film che incanta.
Sin dalle prime inquadrature, ci si rende conto di essere di fronte ad un’opera dotata di una qualità interiore profonda, quasi mistica, frutto di una ricerca dell’autenticità e dell’umano sentire, nei sentimenti mai gridati, nella potenza espressiva del racconto, nel trascorrere di tempi e stagioni a misura d’uomo, tra vita quotidiana, gioie e sofferenze si alternano, in un paesaggio sospeso quasi fiabesco.
Vermiglio è l’opera seconda della brava Maura Delpero – originaria di Bolzano – già fattasi notare per il suo film d’esordio, Maternal, premiato al Locarno Film Festival nel 2019.
Vermiglio è un paesino della Val di Sole dove la regista ha anche, realmente, delle ascendenze familiari e racconta dell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale in una grande famiglia e di come, con l’arrivo di un soldato rifugiato, per un paradosso del destino, essa perda la pace, nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria.
Uno sguardo al femminile che rende onore al lavoro e alla dedizione delle donne per le persone amate, piccole e grandi, bambine o adulte. E una storia di sorellanza, di solidarietà tra donne, sorelle, figlie.
“Mio padre ci ha lasciati un pomeriggio d’estate – racconta la regista – Prima di chiuderli per sempre, ci ha guardati con occhi grandi e stupiti di bambino. L’avevo già sentito che da anziani si torna un po’ fanciulli, ma non sapevo che quelle due età potessero fondersi in un unico viso.
Nei mesi a seguire è venuto a trovarmi in sogno. Era tornato nella casa della sua infanzia, a Vermiglio. Aveva sei anni e due gambette da stambecco, mi sorrideva sdentato, portava questo film sotto il braccio: quattro stagioni nella vita della sua grande famiglia. Una storia di bambini e di adulti, tra morti e parti, delusioni e rinascite, del loro tenersi stretti nelle curve della vita, e da collettività farsi individui. Di odore di legna e latte caldo nelle mattine gelate.
Una storia di guerra senza bombe, né grandi battaglie. Nella logica ferrea della montagna che ogni giorno ricorda all’uomo quanto sia piccolo. Vermiglio è un paesaggio dell’anima, un “lessico familiare” che vive dentro di me, sulla soglia dell’inconscio, un atto d’amore per mio padre, la sua famiglia e il loro piccolo paese. Attraversando un tempo personale, vuole omaggiare una memoria collettiva.”
Il film si svolge nel 1944, e racconta di come l’arrivo a Vermiglio di un soldato siciliano, ferito in guerra e salvato per caso, quasi moribondo, da un abitante del luogo, sconvolga la quotidianità di una famiglia – composta da un padre, maestro del paese, una madre casalinga/contadina di grande intelligenza, e numerosi figli – quando la maggiore delle figlie si innamora dello ‘straniero’ e i due decidono di sposarsi.
“Una storia di bambini e adulti tra morti e nascite, delusioni e rinascite”.
Vermiglio fa i conti con un’Italia del Nord che rivela, oltre ad un modo di vivere antico e legato ai ritmi della natura, anche le ferite della guerra; il film è stato girato in dialetto, con un cast composto quasi interamente da attori non protagonisti (“ho trovato i miei attori nei bar”, racconta la Delpero) rispettando l’alternarsi naturale delle stagioni: “In quattro stagioni si può morire e rinascere”.
“Questo film è stato possibile grazie al sostegno pubblico (Trentino Film Commission, ed IDM Film Commission Südtirol). Vorrei ricordare – ha affermato la regista – che, senza questi fondi, il film avrebbe dovuto tradire se stesso, non essere girato in dialetto, che è la musica di questo film, non avere volti veri ma attori che avrebbero fatto incassare, e non avrebbe potuto rispettare i ritmi della natura. È importante che ci sia dialogo tra il cinema indipendente e le istituzioni”.
La Delpero ha colto anche l’occasione del suo film per parlare della conciliazione vita-lavoro per le famiglie e le mamme (come lei, mamma regista) specificando: “Mi auguro che la società che si riproduce con i corpi delle donne senta questo problema come suo e non lasci sole le donne”.
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