Sbarca in Italia, distribuito da Imago Communication, il kolossal sportivo cinese Ping Pong, il ritorno diretto da Deng Chao e Yu Baimei.
Questa produzione imponente – 45.000.000$ – porta, per la prima volta sugli schermi europei, una bella ed intensamente coinvolgente storia di sport.
Venendo ai contenuti artistici, è interessante notare il ruolo e la personalità del protagonista, l’allenatore della squadra nazionale di ping pong – ispirato alla figura dell’atleta dirigente sportivo Cai Zhenhua che viene richiamato dalla federazione cinese, dopo aver allenato a lungo all’estero, per rilanciare quello che è sempre stato lo sport nazionale della Terra del Dragone.
La vicenda si svolge tra il 1992 ed il 1995, quando il ping pong cinese conobbe un declino senza precedenti: la Cina aveva perso la supremazia mondiale nel tennistavolo e temeva di non recuperarla più di fronte allo strapotere delle nazionali europee che si erano imposte con forza e tecniche di gioco innovative.
Un signore dai tratti orientali viene attirato e rapinato in un vicolo del centro storico di Roma.
La polizia locale lo scambia per un immigrato clandestino e sarà necessario un intervento ministeriale per chiarire che si tratta, invece, di Minjia Dai (interpretato da Deng Chao, uno dei due registi di Ping Pong: Il Ritorno), trasferitosi in Italia per allenare dopo il ritiro dallo sport attivo, a soli 24 anni.
Il primo atto del film ci mostra il respiro internazionale di una disciplina alla quale si affacciano aggressive ed assai preparate compagini europee, dal Belgio alla Svezia, con cui il team cinese dovrà incrociare le racchette prima di poter tornare ai livelli cui ambisce.
A proposito di racchette, è notevole la parte dedicata ad uno strumento di gioco che noi tutti abbiamo preso in mano senza pensare alla qualità che fa tutta la differenza in termini di robustezza, elasticità, maneggevolezza.
La regia di Deng Chao e Yu Baimei, supportata dalla robusta sceneggiatura, scritta a 6 mani dallo stesso Yu Baimei insieme a Pei Liu e Hui Meng, segue il percorso dell’allenatore Dai, una star dello sport nel suo paese, per amor del quale decide di rimettersi in gioco e rinunciare – insieme alla riluttante moglie – ai privilegi di chi vive e lavora nell’opulento Occidente.
È straordinaria, se solo si pensi ai nostri intoccabili “Mister” inondati di Euro e carrozzati con auto di lusso, la scena in cui Dai viene attorniato dai giornalisti all’uscita dell’impianto sportivo: il nostro eroe spinge a mano la sua bicicletta, proprio come fanno milioni di suoi connazionali tutti i giorni!
Eppure, dopo le prime sconfitte, si aprirà il processo a Dai, ingiustamente criticato per il suo stile di vita “occidentale”.
Il coraggioso e resiliente allenatore metterà ancor più impegno nella sua missione, selezionando – con grande severità e durissimi allenamenti – i migliori giocatori, i quali andranno a giocarsi la finale ai Campionati Mondiali di Tianjin nel 1995.
L’asso svedese Waldner darà il più alto riconoscimento del valore degli avversari, dichiarando: “Il ping pong non è soltanto uno sport; è una forma d’arte”.
Grazie a Dai ed al suo fantastico gruppo di incredibili atleti cui nessuno avrebbe “dato una lira”, quella del 1995 sarà la vittoria di tutto il paese e del Partito, mostrando la grande etica del lavoro del popolo cinese.
Una visione da non perdere.
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