Il mio giardino persiano di Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha
Presentato in concorso al 74º Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2024, Il mio giardino persiano di Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha è giunto nelle sale italiane il 23 Gennaio, grazie ad Academy Two.
Alla Berlinale, dove è stato presentato in Concorso, il film non è stato accompagnato dai suoi due autori, cui è stato negato il passaporto: una chiara ritorsione del governo iraniano nei confronti del loro cinema poco allineato.
Con il loro precedente lungometraggio, infatti, Ballad of a White Cow, presentato sempre alla Berlinale nel 2021, i due autori avevano apertamente criticato il regime di Teheran, rappresentandolo come corrotto, mostrandoci l’esperienza quotidiana di una donna vittima di un potere indifferente.
Ne Il mio giardino persiano, invece, la protagonista è un’anziana vedova, imbrigliata dalle regole del potere e relegata ad un ruolo sociale represso e subalterno (stupenda la scena della vicina spiona e bacchettona) dalle rigidissime regole – scritte e non – della società islamica e piccolo borghese cui appartiene.
Vedova da una trentina d’anni, la settantenne Mahin (la deliziosa quanto irrefrenabile Lili Farhadpour) non ha mai voluto risposarsi e, da quando la figlia è partita per vivere all’estero, vive sola a Teheran, nella sua grande casa dal magico giardino.
Stanca della solitudine, in un ristorante ove sta pranzando, Mahin assiste ad una scena che coinvolge direttamente l’anziano tassista Faramarz (interpretato mirabilmente, in La minore, dal bravo Esmaeel Mehrabi) e decide di conoscerlo.
L’incontro inaspettato si trasformerà, per entrambi, in una notte indimenticabile.
Mahin e Faramarz si chiudono al mondo, nello splendido giardino della donna, e lì vivono la loro libertà fatta di vino illegale, balli e quel famoso dolce del titolo internazionale, contro ogni forma d’intrusione del potere.
In fondo, ovunque ci si trovi nel mondo… All You Need Is Love, come cantavano gli immensi John Lennon e Paul McCartney nel 1967.
Paradossalmente, o forse no, la scena più significativa non riguarda l’epilogo romantico tra i due innamorati: è quella della coraggiosa ed orgogliosa terza età che protegge la giovane impaurita ed inesperta dalla cecità violenta della polizia morale.
Un film potente, un mirabile esempio di utilizzo della Settima Arte per affrontare una questione sociale che all’Occidente può sembrare anacronistica ma che continua, nel 2025 (non dimentichiamo che l’Iran è divenuto meno libero di decennio in decennio), ad affliggere ben 88 milioni di persone.
Menzione speciale per gli splendidi protagonisti, in stato di grazia, Lili Farhadpour ed Esmaeel Mehrabi, che ci regalano un’interpretazione che rimarrà impressa nelle nostre retine e nei nostri cuori per sempre.
Il mio giardino persiano (My Favourite Cake) è una visione rara e preziosa.