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Dalla periferia dell’Isola Verde arriva Kathleen Is Here, potente esordio alla regia dell’attrice cinquantenne Eva Birthistle, che firma uno straziante ritratto della gioventù irlandese.

La sua Kathleen è una young adult che cerca di rimettere in piedi la propria vita dopo che la sua famiglia d’origine è andata in pezzi – come tante altre famiglie del Regno Unito, schiacciate tra crisi economica e rapporti sociali inadeguati.

Come dichiarato nel corso dell’incontro con il pubblico prima della proiezione romana, Birhtistle ha tratto grande giovamento dall’esperienza avuta con Ken Loach, monumento al cinema d’impegno civile, che l’ha diretta vent’anni fa in Ae fond kiss.

E la lezione del grande maestro, ormai ritiratosi dalle scene, è stata appresa. Kathleen è una vivace, fragile diciottenne (Hazel Doupe), una ragazza dai grandi occhi verdi apparentemente come tante altre ma straziata nell’anima dalla perdita degli affetti familiari.

È seguita dai servizi sociali: un assistente sociale sembra prendersi cura di lei, le hanno assegnato un alloggio popolare e trovato un lavoro come cassiera nel supermercato locale. Qui fa anche amicizia con Yvonne, una collega più o meno coetanea. Entrambe vogliono divertirsi, e come sempre a queste latitudini il pub è più o meno l’unico posto dove passare il tempo libero.

Kathleen non è spensierata come l’amica, che vuole solo divertirsi tra karaoke e long drink, ma è alla ricerca di un qualche legame stabile: ripete spesso una frase sentita in TV, “Don’t be a stranger”, che in inglese colloquiale sta per “restiamo in contatto, non perdiamoci di vista”.

Alla fine riuscirà a stringere un legame speciale con Dee (Clare Dunne), una donna appena stabilitasi nel quartiere insieme al compagno e a Conor, il figlioletto per il quale ha bisogno di una baby-sitter quando è a lavoro.

Kathleen si offre alla bisogna, ma sembra più interessata a penetrare nell’intimità di Dee, indossa i suoi abiti, usa il suo trucco, si mette le sue collane…

Questo progetto ha avuto ben 10 anni di gestazione prima di venire alla luce:

“On an unconscious level, I was working through my own, very personal feelings about motherhood.

When I was writing initially, 10 years ago, I was pregnant, and then when I sat back down to it five years ago, it was just before my second child.

I was unconsciously exorcising all these worries about how to be a mother.”

Dee prova affetto per questa ragazza sola, ma non capisce cosa c’è di strano, fino a che non realizza che Kathleen vede in lei la madre che ha perduto ormai da tanto tempo.

Sembra non esserci spazio per la speranza nell’ultima parte di Kathleen Is Here; soltanto empatia e comprensione per coloro che hanno vissuto un’infanzia ed un’adolescenza troppo tristi per poter essere in grado di affrontare la vita adulta.

D’altronde, sembra chiedere la regista Eva Birthistle in conclusione: “Cosa ti riserva il futuro se il passato è tutto ciò che hai?”.