Può un Partito (e chissà, un domani la nazione) essere capeggiato da un bipolare maniaco-depressivo? Perché no…
Viva la libertà, scritto e diretto egregiamente da Roberto Andò, affonda le unghie in tematiche attualissime e scontate purtroppo: il potere logorante, la politica come mistificazione illusoria e lo smarrimento esistenzale. E’un film di abbandono, di rinuncia e di speranza.Perchè, si sa, la speranza è l’ultima a morire.
Il capo del partito d’opposizione, Enrico Oliveri (Toni Servillo), è fortemente in crisi. I sondaggi elettorali e le contestazioni lo massacrano tanto che decide di fuggire…Fioccano le illazioni, s’inventano malori e ricoveri ma il suo fidatissimo Andrea Bottini (Valerio Mastandrea) e la moglie Anna (Michela Cescon) pur continuando ad arrovellarsi sul perché della fuga ne trovano una, di via di fuga: il fratello gemello del segretario, il geniale filosofo Giovanni Ernani.
Fedelissimo al libro, sempre di Andò, (Il trono vuoto – Bompiani 2012), il film è un’apologia sulla crisi politica e l’intimità del privato. Il regista palermitano contrappone una romantica parentesi d’un tuffo nel passato all’attuale vacua ideologia. Emblematico è l’uomo senza qualità che intraprende quel viaggio interrotto tanti anni prima alla ricerca di se stesso. Tornando forse, magari diverso, perché la mission non si abbandona o perché al potere non si rinuncia. O forse (speranzoso in questo caso Andò) perché il Belpaese non si lascia nelle mani di improvvisati e truffaldini. Beffardo destino, poi, che a tirare su le sorti di un partito pachidermico sia uno schizofrenico filosofo appena uscito dal manicomio. Forse forse che alla sinistra manchino un po’ di autoironica leggerezza, nuove idee ed il coraggio di cambiare?
Servillo interpreta straordinariamente il ruolo del politico e del gemello, come ne Il divo ma c’è un’atmosfera molto più romantico-popolare in quest’interpretazione, dettata dal binomio pubblico-privato in cui le vicende personali prendono il sopravvento e catturano l’attenzione: i due gemelli non si incontreranno mai anche se, consapevolmente, si interrompe l’assenza e l’incrinatura da cui erano fuggiti anni prima attraverso il viaggio, lo smarrimento esistenziale di uno e la rinascita dell’altro. Come in uno specchio, si riflettono compenetrandosi e dissolvendosi l’uno nell’altro, forse nella donna che hanno amato entrambi in gioventù (Valeria Bruni Tedeschi).
Del resto, lo stesso Andò, estimatore di Lubitsch, chiuse un dibattito in occasione della presentazione del suo libro, profetizzando che in politica, tra non molto, accadrà, come avviene nel cinema, un momento di dissolvenza, un segno di interpunzione. Noi lo stiamo aspettando. Intanto è già importante che un film abbia portato un venticello di concreta leggerezza in un mondo politico astratto, incosciente e deresponsabilizzato.
[Per le immagini, si ringrazia Eugenio Boiano]
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