Rosie by Marcel GislerSorpresa delle sorprese, la selezione ufficiale del Festival del Cinema di Mosca sfida l’orientamento apertamente omofobo del Paese ospite e prosegue con una pellicola a sfondo LGBT, la piacevole commedia Rosie, ritorno dietro la macchina da presa dello svizzero Marcel Gisler a 15 anni dal fortunato De Fögi isch en Souhund: il vero fulcro della vicenda, però, non è tanto la crisi identitaria e artistica di un romanziere omosessuale di discreto successo di stanza a Berlino, quanto il rapporto tenero e conflittuale fra quest’ultimo e la sua irrequieta, esuberante madre, debilitata da un lieve ictus e ciò nonostante tutt’altro che disposta a rassegnarsi al progressivo decadimento fisico e psicologico che inevitabilmente la aspetterà. Gisler si lascia guidare dalla vitalità della sua trascinante protagonista e sfrutta abilmente la palpabile alchimia fra i suoi personaggi, elementi che si impongono su uno spunto e uno sviluppo non proprio originalissimi e su alcune sottotrame irrisolte, in primis le indagini sul passato represso del padre defunto. Fortunatamente, ci viene risparmiato il canonico svolgimento a calvario con tragedia finale in favore di un placido, pacato e a tratti buffo lavoro di scavo sui personaggi e, nonostante certe piccole sbavature (le scene oniriche, nella fattispecie), Gisler azzecca il tono generale del film senza sprofondare nella furbizia e nella melassa.

La vetrina indipendente dedicata alla terza età si apre con il giapponese Natsu no Sakebi (Shout of Summer), ma sarebbe fin troppo facile infierire contro un oggetto evidentemente fuori posto nel programma di una mostra internazionale: la natura profondamente amatoriale del progetto, girato in modesto formato HDV con abbacinanti errori di continuità, sfasamenti audio, “effetti speciali” malamente renderizzati, attori dilettanti e una totale povertà di mezzi, distrugge qualsiasi buona intenzione di raccontare allegoricamente la disperazione di una coppia di anziani alle prese con il silenzio del mondo e finisce per assomigliare, più che all’ennesima opera di un navigato mediometraggista, al saggio di metà corso di uno studente di cinema particolarmente svogliato.

Natsu no SakebiLe Capital di Costa-Gavras, inserito fra le proiezioni di gala nonostante sia già da tempo disponibile per l’home video, è un thriller finanziario freddo e ambiguo che si inserisce idealmente nella filmografia militante e antagonista dell’autore di Z – L’orgia del potere, un incubo capitalista il cui gelido antieroe – l’ottimo Gad Elmaleh, sempre più keatoniano nella sua fisionomia – si situa a metà fra il Gordon Gekko di Wall Street e il dipalmiano Tony Montana, inquietante risultato dell’accostamento fra sistema economico e malavita organizzata.

La veloce, repentina scalata di Marc Tourneil, anonimo ghostwriter alla nomina di amministratore delegato della più grande banca europea sembra pertanto più affine alle cruente congiure del mondo criminale di Mario Puzo che alla flemma dei dirigenti di Margin Call e Gavras è senz’altro molto abile a rendere avvincente un intreccio da thriller nel quale sangue, regolamenti di conti e proiettili sono di fatto sostituiti da titoli azionari, consigli di amministrazione e tanti, tantissimi soldi.
Dove il film si fa più risaputo è nel graduale percorso di corruzione, fra mazzette, riunioni segrete e supermodelle, per certi versi davvero stravisto, e alcune scelte di regia, come l’idea di dare vita agli estemporanei sogni di ribellione di Tourneil, funzionano meglio sulla carta che sulla scena: se i tempi d’oro di Missing sono già da tempo lontani, Le Capital resta comunque una avvincente (e attualissima) parabola in grado di descrivere, con qualche goccia di cospirazionismo in più, il momento storico vissuto oggi da tutta l’Europa.

Le Capital_Costa Gavras
Le Capital_Costa Gavras

L’Écume des jours, attesissimo adattamento dell’omonimo romanzo di Boris Vian, è purtroppo un fallimento colossale e la plausibile pietra tombale del manierismo del suo autore Michel Gondry: il caleidoscopio di invenzioni visive, mai così bulimico – forse un’azione di “reflusso autoriale”, dopo la commissione di The Green Hornet e il minimalismo kechichiano di The We and I -, stordisce e non stupisce più, ottenendo l’effetto contrario di respingere e di andare contro la romantica visionarietà del romanzo d’origine. L’universo di cartapesta e di ingranaggi nato durante la lunga carriera da autore di videoclip ed evolutosi a partire da L’arte del sogno si è irrancidito e ha mostrato definitivamente la corda, trasformandosi in un microcosmo di non sequuntur autocompiaciuti che ricordano il David Lynch della crisi più nera (quello di Fuoco cammina con me, per capirci) e che, ancorché singolarmente buoni per infestare nel prossimo futuro centinaia di pagine di utenti Tumblr, accumulati nell’arco di 125, interminabili minuti fanno soltanto venire la nausea e rimpiangere quella poetica della malinconia e dell’identità che, a questo punto, viene automatico pensare fosse in gran parte invenzione di Kaufman.

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Nobody’s Daughter Haewon, visto quest’anno a Berlino, ribadisce il debito di riconoscenza del prolifico Hong Sang-soo nei confronti della post-nouvelle vague, in particolare dell’universo surreal-ludico di Jacques Rivette e, soprattutto, delle tribolazioni sentimentali di Eric Rohmer: anche nelle confidenze diaristiche della studentessa Haewon, tuttavia, continuano a mancare l’anarchia narrativa del primo e la passione dialogica del secondo, e così il racconto vive principalmente di separate intuizioni azzeccate, dall’incontro onirico con Jane Birkin nei panni di se stessa (momento autenticamente cult che riporta al cameo di Jennifer Beals in Caro diario) all’allegretto della Settima Sinfonia di Beethoven messo in sottofondo da uno dei protagonisti per sottolineare la drammaticità del momento. Resta però una protagonista dal brio e dall’esuberanza assolutamente contagiosi, tanto da dare l’impressione – complici la quasi totale assenza di montaggio e l’uso “documentaristico” dello zoom – di essere ripresa di nascosto.

L'ecume des jours by Michel Gondry_Romain Duris
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