Tra le cinematografie orientali, quella coreana è sicuramente la più “occidentale” (per stile, ritmi e tematiche). La facilità e la potenza con cui tali cineasti affrontano storie di violenza e traumi psicologici rende particolarmente riuscite le pellicole di genere horror. Ne è un piacevole esempio questo Black House, mezzo thriller e mezzo horror, che si gioca le sue carte migliori nella seconda parte, guadagnando punti con un’estetica gore di eccezionale impatto emotivo.

In realtà, il film dell’esordiente Shin Terra si sofferma a lungo sull’inquadramento dei personaggi, dando vita ad una sorta di thriller psicologico lungo quasi un’ora, tutto giocato sulla dicotomia tra ciò che è e ciò che sembra, in mezzo a personaggi ambigui e manipolatori. Protagonista è Jun-ho, un giovane agente assicurativo alle prime armi, che si trova a dover dirimere il caso di un apparente suicidio di un bambino trovato impiccato: ma l’atteggiamento del padre sembra condurre chiaramente verso la pista dell’omicidio, che invaliderebbe la polizza assicurativa sulla vita.

Quando però entra in gioco madre, tutto cambia. La trama subisce la vera svolta, il film ne acquista in spessore, con l’introduzione di un personaggio complesso e agghiacciante e lo stile ne risente inevitabilmente, compiendo finalmente l’agognato salto verso la atmosfere horror. Se ad una prima occhiata si poterebbe pensare di avere a che fare con un anomalo splatter orientale (mai sotto-genere fu più avulso da quella cinematografia), col proseguire delle scene ci si imbatte in una violenza tragica, complessa, disturbante, che non ha nulla a che vedere con la semplicità del gore né tanto meno con l’estetismo del pulp.

Ci si ritrova a contorcersi lo stomaco con una partecipazione emotiva inusuale per un certo tipo di pellicole: Shin Terra riconduce l’horror su un piano archetipico, introducendovi elementi di catarsi propri del genere drammatico. Avvalendosi di una fotografia livida laddove non proprio buia e di un cast di buon livello (in cui spicca l’inquietante protagonista), Black House risolleva le sorti del suo genere nella stagione estiva e si propone come pellicola godibile e capace di suscitare più d’una emozione. Lodevole.

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