Dio salvi la regina, benedica l’America e già che c’è, butti un occhio anche su Mary Poppins, la tata delle tate.
Non è la prima volta che Hollywood decide di raccontare le storie che si celano dietro la realizzazione dei film. Da L’Ombra del Vampiro, pellicola diretta nel 2000 da E. Elias Merhige su come fu ideato e portato a compimento il Nosferatu di Murnau, all’ Ed Wood di Tim Burton, fino al più recente Hitchcock, con Sir Anthony Hopkins nei panni del maestro del brivido, sulla travagliata lavorazione di Psycho. Si tratta di un genere di film particolare che punta a far leva sulla curiosità degli spettatori più indiscreti. E adesso anche il segrteo di Mary Poppins, uno dei titoli di punta di casa Disney, pellicola che ha cresciuto tre generazioni di bambini e che con un poco di zucchero li ha accompagnati verso l’età adulta si appresta ad essere rivelato.
Era solo una questione di tempo e prima o poi, anche sulla pellicola di Robert Stevenson, avrebbero fatto un film. Un film, sul film.
Ci ha pensato la Disney (e chi altri?), che ha affidato a John Lee Hancock (regista di The Blind Side e sceneggiatore di Biancaneve e il cacciatore e del prossimo Malefica) la regia di Saving Mr. Banks, film velatamente ispirato alle diatribe sui diritti di sfruttamento cinematografico legati a Mary Poppins, il romanzo che Pamela Lyndon Travers pubblicò nel 1934, primo di una lunga serie sulle vicende della supertata volante. Velatamente perché tra la Travers e Walt Disney i rapporti furono tutt’altro che idilliaci, anzi. Al magnate americano dell’animazione ci vollero quindici anni per convincere la scrittrice australiana a cedergli i diritti del libro. Poi, un po’ per sfinimento (il vecchio Walt sapeva essere molto convincente) e un po’ perché i romanzi della Travers non vendevano più come un tempo, alla fine la donna dovette accettare la negoziazione.
Ma mentre la verità storica ci parla di situazioni al limite dello sgradevole, di scontri verbali tra i due piuttosto accessi e altre amene storielle, il film di John Lee Hancock si mantiene sempre su toni garbati ed eccessivamente composti. La Travers, alla fine, pur avendo ceduto i diritti del suo libro, non ha mai dato l’assenso pieno alla realizzazione di Mary Poppins. Non voleva che ci fossero parti animate, non voleva le canzoncine che invece hanno fatto il successo della pellicola e, soprattutto, non voleva che la protagonista fosse Julie Andrews. Dunque nessuna verità storica per Saving Mr. Banks.
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Il vero problema del film è proprio Mr. Banks. Forse non tutti sanno che Mary Poppins non arriva a casa Banks per salvare i bambini, ma il loro papà, Mr. Banks appunto. Da cosa? Da se stesso e dalle sue rigidità di padre, dalle sue mancanze e inadempienze nei confronti dei figli. Una realtà che la Travers ha vissuto da piccola, quando ancora era in Australia con la sua famiglia. Il rapporto travagliato con il padre, che impariamo a conoscere a suon di fastidiosi flashback, porta la pellicola su due piani narrativi differenti. Siamo al tempo stesso a Hollywood, dove un esuberante Walt Disney negozia con la scrittrice per poter realizzare il film a modo suo e in Australia, circa cinquant’anni prima, dove una Pamela Travers bambina ha un rapporto di amore e odio con il padre alcolizzato (interpretato da un mai così straniato Colin Farrell). Risultato: la storia principale perde di ritmo e i toni drammatici vengono allentati fino all’esasperazione.
In un film in cui dramma e commedia si alternano secondo uno schema convulso e senza mai trovare il giusto equilibrio, viene confezionata una storia retorica e rassicurante come solo la Disney riesce a fare. Poco importa se la realtà dei fatti sia un’altra. Il sentimentalismo spiccio è sempre in agguato e alla fine magari ci scappa anche una lacrima. Così si torna a casa col sorriso e siamo tutti felici. Tom Hanks, da bravo mestierante qual è, si limita a interpretare un dignitoso Walt Disney ed è sempre un piacere vedere Emma Thompson in azione nei panni di un’irremovibile Pamela Travers. C’è anche Paul Giamatti, l’autista Ralph che accompagna la scrittrice durante il soggiorno americano. Un ruolo da comprimario discreto e credibile che conferisce un po’ di verità umana a una storia che, nonostante i presupposti, non ne porta traccia.
[Thanks, Movielicious!]
Ad Emma Thompson hanno negato una meritatissima nomination all’Oscar, solo perché non si chiama Meryl Streep.