Difficile cominciare a parlare di un “film” cosi importante per la cinematografia; molto complesso ed astratto ma anche molto tangibile e personale.
Alcuni potrebbero considerarlo un sci-fi noir, altri un film psicologico ed altrettanto filosofico; personalmente, lo vedo come un viaggio nel tempo sia quello fisico come successione di avenimenti che quello più propriamente interiore. Qui tutto sembra fermo; la dimensione spazio-temporale è quasi palpabile, hai la senzazione di poterla toccare come tutta quella sabbia nelle camere, intesa come materiale alieno mistico oppure tossico.
I personaggi qui, soprattutto gli stalker che sono intesi piu o meno come guide turistiche, portano delle persone a visitare “La Zona” altamente contaminata e pericolosa al punto da poter inghiottire qualsiasi oggetto ed addirittura le persone. In realtà non si tratta di altro che un viaggio interno nello spirito di ognuno. La Zona aiuta a conoscere i propri limiti e potrebbe essere anche un’invenzione necessaria per l’immanente passaggio del tempo nelle nostre vite, un po’ come la creazione delle prime religioni ancestrali quando l’uomo voleva dare un nome a tutti i fenomeni naturali, personificarli, temerli e venerarli; una forza superiore a tutto ed a tutti.
Durante tutto il tragitto filmico, le scene sono piene di citazioni filosofiche, mistiche e religiose, un po’ come nella vita reale quando un individuo percorre diverse tappe nella vita, a volte filosofiche, molte volte mistiche e superstiziose e, quando sente avvicinarsi la minaccia della morte diventa anche religioso ma non troppo, alla “Dubito ergo sum”.
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Raramente, un tandem libro-film si è completato in questa maniera quasi perfetta; i fratelli Arkady e Boris Strugatsky sono molto importanti per la letteratura sci-fi russa e meritano una stella sulla Hall of Fame sovietica accanto ad altri grandi nomi come Stanislav Lem ed il super visionario Isaac Asimov; forse non dovremmo piu mettere in discussione le capacita magiche di Andrei Arsenyevich Tarkovsky come regista visionario. Il libro ha un titolo alternativo, il quale non è altro che una bellissima parabola che ognuno di noi è perfettamente in grado di immaginarsi perché quasi tutti, anche più volte nella vita, lo abbiamo fatto: “Il picnic sul ciglio della strada” – la scena è geniale e quasi perfetta nella sua semplicità- una famiglia che pranza sul prato ed alla fine lascia rifiuti diversi: conserve, fazzoletti, buste, bottiglie, frammenti di cibo e poi se ne va.
Arrivano gli insetti giustamente, che nello scenario saremmo noi umani che spendiamo tutta la nostra vita per capire che cosa sono quelle sostanze e quegli oggetti. Potrebbero esserci delle prove che confermano l’esistenza degli alieni oppure dei palliativi che ci siamo inventati per giustificare che la nostra esistenza terrena abbia uno scopo nascosto, non ancora scoperto, finale, che non nasciamo solo per morire ma per realizzare degli ideali che non abbiamo ancora raggiunto; scoprire nuovi mondi, la tendenza umana da sempre di guardare in alto ad esempio, sempre avanti, di progredire. Cinquecento anni fa, Leonardo da Vinci sognava di volare, oggi è una cosa banale. Siamo molto tecnologici adesso nel periodo moderno ma trascuriamo le nostre capacità come l’intuizione, la premonizione, oppure i poteri cosiddetti paranormali come la telecinesi che, nella scena finale del film, evoca proprio il fatto che possiamo e dobbiamo sempre superare noi stessi.
I critici hanno parlato molto a lungo e ci saranno ancora tante cose da dire su questo tandem libro-film, tentando di collocare un capolavoro unico nel suo genere. In questa sede, mi permetto soltanto di aggiungere il mio umile parere di cinefile, il quale riguarda soltanto la profondità dei soggetti approcciati perché ogni volta che lo rivedo…Stalker cambia destinazione e senso come un camaleonte; spero che, se tenteranno di girarne un sequel…questo non faccia la fine di Solaris.
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