Forse con Papa Francesco si sta completando la grande transizione dei vescovi cominciata sotto Benedetto XVI. In due posti chiave, Papa Francesco ha mostrato di seguire la linea tracciata da quello che è oggi il Papa emerito prima di lui: la scelta del Cardinal Rainer Maria Woelki come arcivescovo di Colonia, e la scelta dell’arcivescovo Carlos Osoro Sierra come arcivescovo di Madrid. Queste scelte sembrano portare avanti quella che era una transizione necessaria dai vescovi in posti chiave che guidavano le Conferenze Episcopali in stretto rapporto con Roma a una nuova generazione di vescovi, dalla vocazione pastorale ma teologicamente formati. Pastori credibili, che sappiano portare avanti la tradizione della Chiesa, e andare oltre le difficoltà fornite da un mondo secolarizzato.
Certo, le storie di Colonia e Madrid sono molto diverse. Nel primo caso Joachim Meisner, il predecessore del Cardinal Woelki alla guida della diocesi, era stato scelto proprio per il suo tratto umano unito alla grande capacità pastorale nonché la fermezza teologica, bypassando lo stallo del Capitolo, che ci aveva messo 14 mesi prima di scegliere un successore, e lo era riuscito a fare solo sotto una forte indicazione papale.
Nel secondo caso, Carlos Osoro Sierra sembra andare a compiere una transizione necessaria dopo il “regno” del Cardinal Antonio Rouco Varela, che in Spagna aveva per 24 anni agito come “un vice-Papa spagnolo” – denuncia il sito ReligionDigital – mostrando stretti rapporti con la gerarchia di Roma sin dai tempi in cui Giovanni Paolo II lo aveva nominato arcivescovo di Madrid, e proseguendo nel suo stretto rapporto con Roma anche durante il pontificato di Benedetto XVI.
Ma è stato proprio il pontificato di Benedetto XVI a mettere le basi per questa rivoluzione pastorale. Il programma da Pontefice del Papa emerito sta tutto nel discorso che tenne a Friburgo durante il suo viaggio in Germania nel 2011. Lì, nella sua patria auto compiaciuta dalla ricchezze delle sue strutture, aveva prima di tutto messo in chiaro di essere andato a parlare di Dio, per rimettere la fede al centro. E poi aveva plaudito al necessario trend della secolarizzazione, che aveva sgravato la Chiesa dal potere secolare e l’aveva spostata su un piano più spirituale. Una Chiesa meno mondana, chiedeva Benedetto XVI.
Il quale aveva avviato da tempo la sua rivoluzione tranquilla. Non c’era stata nessuna defenestrazione, né in Curia, né tra i vescovi. Era un percorso lungo, quello avviato da Benedetto XVI, da portare avanti un tassello alla volta. Un modo per rispettare tutti, non creare le inevitabili invidie o guerre interne, e allo stesso tempo cambiare le cose.
La nomina a Berlino del Cardinal Woelki; quella dell’arcivescovo André Joseph Leonard alla sede di Bruxelles; e poi, la promozione a Philadelphia di un vescovo dalla grande caratura pastorale e dalla dottrina ferma come Charles J. Chaput; la nomina di Wilhelm Eijk, poi creato cardinale, alla guida della diocesi di Utrecht (Olanda); e la stessa promozione di Carlos Osoro Sierra ad arcivescovo di Valencia; sono alcuni degli esempi di come Benedetto XVI avesse cominciato il lavoro di ri-bilanciamento dell’episcopato. Vescovi forti nella fede, ma che fossero in grado anche di avere un tratto pastorale unico.
Un processo che era partito anche nella Curia e in ruoli chiave della diplomazia. Quando l’Irlanda fu scossa dal caso della pedofilia, il nuovo nunzio fu Charles J. Brown, non un diplomatico in carriera, ma una persona che aveva servito nella Congregazione per la Dottrina della Fede. E quando si trattò di scegliere un nuovo prefetto per la Congregazione del Culto Divino, Benedetto XVI pensò ad Antonio Canizares Llovera, che era già cardinale e stava a Toledo come primate di Spagna.
Ma Canizares aveva un forte animo pastorale, tanto che più volte in questi anni ha chiesto di tornare in Spagna ad occuparsi di una diocesi. Papa Francesco lo ha accontentato e lo ha mandato a guidare l’arcidiocesi di Valencia lasciata libera da Osoro. Una scelta che dimostra come la rivoluzione tranquilla di Benedetto XVI non è terminata, ma stia piuttosto continuando.
Perché la Chiesa di Spagna aveva già cominciato da tempo a progettare il dopo-Rouco Varela. Nella plenaria della Conferenza Episcopale Spagnola dello scorso novembre, i vescovi avevano nominato Antonio Gil y Tamayo segretario generale e portavoce della Conferenza Episcopale. E nella plenaria di marzo avevano presidente l’arcivescovo Ricardo Blazquez Perez, di Valladolid, e vicepresidente proprio Osoro Sierra, con una scelta che testimoniava la loro volontà di mandarlo in una diocesi importante. Magari Madrid.
E questo nonostante lo stesso Rouco Varela avesse un suo candidato, l’ausiliare Fidel Herraéz, che però non piaceva all’episcopato spagnolo: rischiava di essere un clone dello stesso Rouco Varela. Così come non poteva funzionare lo stesso cardinal Canizares: a 69 anni, con già un incarico in Curia, sarebbe rimasto alla guida della diocesi fino alla pensione, senza possibilità di spostamento. Da qui, la scelta di inviarlo a Valencia. Una diminutio? Non per il Cardinal Canizares, un vero pastore, che vive la nomina gioendo per essere tornato a casa, dato che lui stesso proviene dal territorio valenciano. L’arcivescovo Osoro ha la stessa età di Canizares, ma non ha mai avuto incarichi in Curia. È meno legato all’incarico e meno legato a Roma. È stato un dato che si è rivelato decisivo.
Come si è rivelato decisivo il fatto che Osoro è chiamato “il piccolo Francesco” in patria proprio per la sua scelta pastorale. Ma non ci si deve fare ingannare, perché chi lo conosce sostiene che è ben strutturato teologicamente. Non ci saranno rivoluzioni teologiche nella Spagna secolarizzata che si sta riprendendo a fatica dall’era Zapatero. Ma un nuovo tratto pastorale, sì.
Allo stesso modo, il tratto pastorale è stato quello che si è rivelato vincente per Rainer Maria Woelki, da Berlino catapultato a Colonia, nella diocesi più ricca della Germania. Anche in questo caso, si è trattato di una conferma delle scelte episcopali di Benedetto XVI.
La Chiesa di Germania non aveva ben digerito i discorsi di Benedetto XVI, subito dopo il viaggio del 2011 si era orientata ancora sull’agenda progressista, spinta anche dalla forte presenza di Noi Siamo Chiesa ai vertici dell’Azione Cattolica tedesca e come gruppi di influenza negli organismi parrocchiali.
Quella stessa agenda progressista aveva agito anche nei Paesi in lingua tedesca per far risaltare la novità di Papa Francesco, facendo forti pressioni sui media. Il Cardinal Walter Kasper era ad esempio tra i vescovi del Reno che avevano proposto una “apertura” alla comunione per i divorziati risposati. E sempre dalla Chiesa in Germania sono venute le pressioni sul prossimo sinodo dei vescovi con la famiglia, messe in luce anche con la pubblicazione del questionario.
Queste pressioni speravano almeno portassero alla nomina di vescovi più compiacenti sulle questioni di dottrina. Ma il Cardinal Woelki non è niente di tutto questo. Anzi. Porterà avanti quella linea di cristianesimo integrale voluta da Giovanni Paolo II per la Chiesa di Germania (anche su suggerimento del suo prefetto per la Dottrina della Fede Joseph Ratzinger) e portata avanti da Benedetto XVI.
Colonia è una delle 13 diocesi di Germania in cui l’elezione del vescovo arriva dopo la designazione di una terna da parte di un capitolo diocesano. Prima il capitolo fa una lista di possibili candidati, e la spedisce a Roma attraverso il nunzio, che acclude le sue ricerche e osservazioni. Poi Roma manda una terna, che deve essere votata dal capitolo. Quando fu eletto Meisner, c’era un procedimento complicato, ci voleva una maggioranza assoluta, non si raggiunse per diverso tempo. La riforma della scelta dell’arcivescovo prevede una procedura più snella, per meglio adattarsi alla vita contemporanea della Chiesa.
Detto questo, la scelta di Woelki era comunque considerata molto probabile, anche se questi non era comparso nelle terne inviate dal capitolo al nunzio in Germania. Ma il nunzio in Germania è Nikola Eterovic, che sotto Benedetto XVI aveva servito da Segretario Generale del Sinodo e che conosce bene le idee dei vescovi e il loro impatto pastorale, oltre che teologico, per averci avuto a che fare proprio nelle organizzazioni dei vari sinodi. Ed Eterovic (dicono anche dall’entourage di Benedetto XVI) ha fatto un buon lavoro.
Così, anche in Germania Francesco ha fatto una scelta sulla scia di Benedetto XVI. Classe 1956, ex segretario dello stesso Meisner a Colonia, Woelki torna a casa dopo che a Berlino si è fatto apprezzare da tutti per il suo tratto umano che in molti hanno paragonato a quello di Papa Francesco. Ma in realtà Woelki non ha vissuto propriamente una luna di miele a Berlino:
Arrivato in una delle città più secolarizzate di Germania, dove i cattolici erano una minoranza (circa 400 mila persone su una popolazione di 3,5 milioni di persone generalmente indifferenti o persino ostili alla religione), è stato subito accusato dalla stampa progressista di essere un vescovo dal pensiero arretrato, omofobo e dunque non adatto al posto di arcivescovo di una città con sindaco gay dichiarato e governo di coalizione rosso-rosso.
In quell’occasione, Woelki convocò una conferenza stampa e respinse le accuse di omofobia. “Sono semplicemente cattolico”, disse. E poi aggiunse che “la Chiesa non è una istituzione morale che va a puntare il dito contro le persone. Per me, la Chiesa è una comunità di persone di cercatori e credenti e la Chiesa punta piuttosto ad aiutare le persone a trovare la loro felicità in vita”.
È l’appello alla misericordia di Papa Francesco, è l’appello per una Chiesa non moralista che lo stesso Benedetto XVI fece in uno storico discorso a braccio ai vescovi della Svizzera nel 2006. Era l’inizio di una rivoluzione così tranquilla che nessuno accreditò come tale. E che Papa Francesco sta portando avanti, semplicemente lasciando andare avanti le cose come era no state predisposte.
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