Immenso Sebastião Salgado

Il sale della terra di Wim Wenders e João Salgado è un film potente, originale, quasi blasfemo nell’idolatria per l’Uomo, per la Natura, per l’Immagine stessa – fotografica o cinematografica – che si fanno Dio. L’immagine è la Religione che ha sempre animato un grandissimo fotografo come Salgado ed un regista visionario e metafisico come Wenders. Un’Immagine che però segue, in questo film, direzioni anomale, impreviste, trappole per l’Occhio e per la Mente. L’attrazione più affascinante de Il sale della Terra è il “vero movimento”, il vettore concettuale delle immagini del film (mosaici di fotografie salgadiane incorniciate da sequenze “metasalgadiane” di Wenders, con backstage d’autore sui set scelti dal maestro brasiliano), percorre una direzione opposta al movimento di avvicinamento all’immagine, di affondo,  portato da Antonioni in Blow Up per vedere, scoprire un omicidio.

Qui invece siamo alla ricerca non di una Morte ma di una Creazione, di una Nascita, del Fiorire del Creato. Qui, le immagini fotografiche fuggono dalla dimensione ridotta, dal vetro, dall’essere appese ad un muro, sullo schermo di un pc o addirittura di uno smartphone, per essere pantografate sul grande schermo. Immagini in cui letteralmente precipiteremmo, realtà umane e naturali in cui entreremmo dentro in prima persona, mondi astratti e monocromatici in cui troveremmo il remoto sentore di una Realtà ulteriore di cui questa, in cui viviamo, è solo parodia, scimmia imitante.

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Quali sono le dimensioni di uno schermo cinematografico? Venti metri per dieci? Forse anche di più. Ecco allora che il potente afflato umanistico, l’istinto per inquadrature non didascaliche eppure perfette a raccontare attraverso un tutto o un particolare un’intero mondo e, soprattutto, quell’originale “virato bronzo”, marchio identificativo di tutta la carriera artistica di Salgado, emergono moltiplicate all’infinito davanti alla meraviglia ed allo stupore dello spettatore. Un’immagine trattata come nella lavorazione del bronzo, del rame, dell’acciaio, un’emersione dei dettagli imprevista, in cui entrare per visitare mondi nuovi, sconosciuti, perfino a quegli stessi mondi prima di essere ricreati dall’obiettivo di Salgado.

Un esempio per tutte le fotografie mostrate nel film, quella della grande miniera d’oro di Serra Pelada, popolata da un formicaio di esseri umani. Un’immagine che sembra il cuore pulsante, la bocca del Vulcano dell’Universo, della Storia, della Natura. Un’immagine che esisteva già probabilmente nella mente salgadiana ed nel nostro inconscio collettivo e che doveva solo essere riconosciuta, bloccata nella sua addirittura eccessiva simbolicità. E Wenders, come ubriacato dal “bianco e negro” di Salgado, muove il suo obiettivo sopra le fotografie, indagandole, esplorandole, ingrandendole per portarle fino a noi ed, insieme a lui,  affondarvi dentro i propri occhi, la propria Cognizione, il proprio cuore.

I minatori d'oro di Serra Pelada
I minatori d’oro di Serra Pelada

Immaginiamo, in un ingiusto paragone, cosa succederebbe se ampliassimo a quelle dimensioni i nostri scatti fotografici. Probabilmente apparirebbero accecanti ed assurdi, dai colori sbavati e fosforescenti, inutili selfie che nulla raccontano, foto turistiche o di gruppo che danno un’informazione primaria, binaria, rivolta solo a noi.

Uno scatto di Salgado è invece un libro, un trattato, una sintesi lirica su un luogo, sugli esseri umani che abitano quel luogo, sulla filosofia che da sempre anima il mondo umano e quello naturale. Immaginate quello scatto, ingigantito dal mezzo cinematografico, mai come in questo caso alleato del proprio progenitore fotografico. Ed il merito è, ovviamente dell’arte salgadiana ma anche dell’amore e dell’attenzione con cui è stata approcciata da Wim Wenders, che aggiunge molte sequenze girate in quegli stessi luoghi già raccontati dal fotografo e soprattutto dal volto e dalla voce di Sebastião Salgado, caratteri carismatici e suggestivi, rappresentati  come se fossero una fotografia danzante, il ritratto di un indigeno primigenio cui è stato dato il potere divino di fermare la realtà, di renderla eterna.

Mai come in questo film il cinema è al servizio dell’arte non con una mortifera e soporifera biografia d’artista ma con l’arte stessa messa in scena, perfino potenziata. Vedetelo rigorosamente sul grande schermo!

Sebastião Salgado e Wim Wenders
Sebastião Salgado e Wim Wenders

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