Questo leggiadro film di Fariborz Kamkari, curdo iraniano trapiantato in Italia e autore del celebrato I fiori di Kirkuk, può sembrare fuori luogo in un periodo in cui l’Islam sembra vestire i funebri colori di uomini incappucciati che compiono efferatezze ovunque arrivino. Eppure, la grazia con cui Kamkari propone la sua versione della dialettica tra le culture islamica e occidentale ci ricorda che lo “scontro di civiltà” preconizzato da illustri studiosi di Harvard non è scritto nel destino. Soprattutto se ci si lascia andare all’ironia, utile a sdrammatizzare le tensioni tra credi diversi.
Pitza e datteri si apre provocatoriamente sulle labbra vermiglie di Zara (l’attrice franco-africana Maud Buquet), conturbante giovane donna che danza e canta imbracciando…il manico della scopa con la quale tiene pulito il suo salone di bellezza, tra le calli veneziane. Peccato però che, prima, sorgesse in quel luogo la moschea dove si riuniva la variopinta, scombinata, esigua ma del tutto pacifica comunità musulmana di Venezia. Zara ha dovuto procedere allo sfratto per mantenersi, dopo che il marito fedifrago l’ha piantata in asso lasciandola però indebitata fino al collo. Karim, buffissimo e palesemente inetto presidente della comunità (il pakistano Hassani Shapi), non trova di meglio che appellarsi ai suoi superiori arabi, i quali gli inviano dall’Afghanistan un imam giovane e totalmente inesperto – quando sbarca dal traghetto, ha gli occhi coperti da una benda per non vedere “le brutture dell’Occidente”!
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I consigli dell’imam sono tanto assurdi da…esser presi sul serio dal manipolo di fedeli, forse perché ognuno di loro ha i propri problemi, a partire da Bepi, un veneziano convertitosi all’Islam (interpretato dal solito, formidabile Giuseppe Battiston) appartenendo ad una famiglia nobiliare decaduta: vive in un palazzetto storico cui un accanito ufficiale giudiziario ha apposto i sigilli, braccandolo per potergli consegnare il decreto esecutivo di sfratto.
Va detto che il buon Kamkari scherza un po’ col fuoco mostrando – certo in modo parodistico – alcuni degli stereotipi attribuiti alla religione musulmana, evidenti soprattutto nel delirante predicare di Saladino, il giovane imam interpretato da Mehdi Meskar (anche lui di origini miste: si definisce un calabrese-magrebino-parigino), che a un certo punto suggerisce di risolvere il problema lapidando la sensuale Zara, il cui fascino sarà invece il migliore antidoto ad ogni tentazione integralista.
Ma, al di là di una sceneggiatura scoppiettante quanto non sempre originale, in Pitza e datteri elementi centrali sono il luogo dove si svolge la vicenda – Venezia, da sempre incrocio perfetto tra Oriente e Occidente, crocevia di scambi culturali, commerciali, umani – e la musica: tra calli, torri, cupole e mosaici echeggiano i suoni multietnici dell’Orchestra di Piazza Vittorio, che ha composto la colonna sonora (disponibile per la Sugar di Caterina Caselli) di cui abbiamo avuto un assaggio in anteprima con l’esibizione musicale dal vivo di Ziad Trabelsi all’oud e Leandro Piccioni alle tastiere. Proprio Ziad, al termine della proiezione, ha detto di essere molto curioso di vedere il film finito, per capire come si potesse rappresentare una materia così delicata e complessa senza offendere i sentimenti di nessuno: ebbene, a suo giudizio, Kamkari ci è riuscito benissimo. Ma, come hanno ben detto dai componenti del cast, a partire da Battiston nei panni di un “maldestrissimo fondamentalista”, il mondo musulmano non è un monolite come vogliono farci credere quelli che sono interessati, anche se da opposte barricate, a farci credere il contrario.
Ci piace quindi chiudere con l’ultima battuta della fascinosa Maud Buquet, riferendosi al cartellone del film, raffigurante il tacco di una femminile scarpa rossa sul capo coperto da un turbante: “Quando ho visto il cartellone del film un po’ di paura l’ho avuta, ma poi ho pensato che la cosa importante è mostrare come l’integralismo sia proprio di una ristretta minoranza di fanatici, mentre l’Islam è un’altra cosa”.
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