Lala di Ludovica Fales: raccontando una generazione invisibile in cerca di cittadinanza
È nelle sale il docu-film Lala, di Ludovica Fales, distribuito da Transmedia Production, reduce da numerosi successi: vincitore del premio del pubblico Mymovies al 41° Bellaria Film Festival, della menzione speciale per il documentario al XV Ortigia Film Festival e presentato in questi giorni alla 35a edizione del Trieste Film Festival per il Premio Corso Salani.
Sono tante, oggigiorno, le adolescenti in cerca di identità, ma per alcune di loro non si tratta ‘soltanto’ di un passaggio evolutivo e psico-sociale legato all’età, bensì di un problema di riconoscimento giuridico e di doppia marginalizzazione perché stigmatizzate dalla società in quanto appartenenti all’etnia Rom e rese, al contempo, invisibili a causa della mancanza di documenti: lo stato italiano, infatti, in assenza di genitori o con genitori nati all’estero, non concede ai figli la cittadinanza.
Senza documenti, com’è noto, non si può lavorare né crescere un figlio; in altre parole, si è relegati all’emarginazione, alla non-esistenza giuridica e non solo.
È questa la storia raccontata in questo docu-mockumentary, esordio alla regia di Ludovica Fales e manifesto di gruppi di giovani generazioni invisibili (nel film in particolare si dà voce a tre ragazze), dai diritti negati, che si confrontano sul diritto di cittadinanza e sulle loro reali possibilità di scelta.
Ispirato alla vera storia di Zaga – una ragazza Rom nata e vissuta col figlio a Roma in un campo a Tor Bella Monaca – Lala racconta le storie di tre coetanee adolescenti: Lala, Samanta e Zaga, amiche nella realtà, che condividono progetti, desideri e sogni, per sé e per i propri figli, ma al tempo stesso lottano per non soccombere alle leggi, per loro incomprensibili, dello Stato italiano.
Pur essendo nate in Italia e avendo frequentato la scuola italiana, infatti, il nostro Paese non le riconosce perché i loro genitori sono nati altrove e/o sono irreperibili, scomparsi o fuggiti senza lasciare traccia di sé o dei loro documenti.
Le storie delle tre giovani protagoniste si intrecciano nei tre strati di un racconto collettivo alla ricerca della cittadinanza di una e tante adolescenti senza documenti e senza vera identità, portando lo spettatore tra i tanti paradossi della legge, attraverso i tre piani d’indagine in cui il film si snoda: verità, realtà e verosimiglianza.
Il film mescola infatti realtà e fiction, pur su un canovaccio di storie vere, raccontate all’interno di un laboratorio narrativo svoltosi per anni con la regista.
Emergono tante sfaccettature di una storia apparentemente senza soluzione: la macchina impietosa dei servizi sociali, che devono togliere il bambino a Lala (ormai quasi diciottenne) pensando al ‘superiore interesse del minore’, non avendo trovato in alcun modo un genitore ma ben sapendo che non è colpa della ragazza se è priva di documenti e, quindi, di permesso di soggiorno, forse rendendosi conto di dover commettere un’ingiustizia.
I gangli della burocrazia, però, non possono frenare la vitalità e la voglia di vivere delle ragazze Rom protagoniste del documentario, che riempiono lo schermo con la loro bellezza, forza ed energia, con la loro resilienza; come nel caso dell’amica che, fuggita in Serbia, è riuscita ad avere il tanto agognato passaporto, lasciapassare verso la libertà ed una vita migliore.
“Come documentarista – racconta la Fales in un’intervista – cerco di mettere lo spettatore nella condizione attiva di domandarsi cosa stia guardando: oggi le persone hanno smesso di interfacciarsi alle immagini in maniera dialettica e noi autori dei documentari abbiamo l’obbligo morale, etico, di risvegliare gli spettatori dall’illusione di pensare che tutto quello che vedono è vero (o falso).
Quando ho conosciuto Zaga aveva tanti e bellissimi sogni da adolescente e nei mesi successivi al nostro incontro ho visto i suoi sogni sgretolarsi quando si è resa conto che non avrebbe mai potuto avere la cittadinanza. Tutte le minoranze hanno delle questioni in comune che vanno condivise e i ragazzi delle comunità Rom sono un esempio molto radicale: molti di loro, a partire da Lala in poi, si stanno occupando di questioni del genere.
Una delle attrici, Ivana Nikolić, è un’attivista che dialoga con altri gruppi in merito a diritti civili, diritti umani.”.
[Nota del Caporedattore: ben 7 anni di gestazione per questo pregevole progetto, che siamo davvero felici di poter finalmente vedere nelle sale]
La regista, grazie ad uno stile narrativo che valorizza i suoi personaggi e le loro storie, e mediante l’utilizzo di tecniche sperimentali per il documentario, evidenzia le problematiche di una generazione che vive con sofferenza la doppia identità ma al tempo stesso lotta per la propria giovinezza e per il futuro di tutta la comunità.
Lala si muove tra i frammenti della sua identità sospesa, incrociando la storia di Samanta, l’interprete non professionista che la incarna, e quella di Zaga, la ragazza reale che ha ispirato il film. In uno stato fluido tra messa in scena e realtà, Lala intraprende un viaggio collettivo alla ricerca della identità di un’intera generazione dai diritti indefiniti. In un caleidoscopio di storie che si intersecano, il film diventa il manifesto di una generazione, un mosaico di voci di ragazze e ragazzi e che sono tutte e tutti Lala.
Lala è una produzione Transmedia production (Italia), Staragara (Slovenia), con il contributo di Fondo Audiovisivo del FVG, MiC – DG Cinema (tax credit), FVG Film Commission, Regione Lazio, Slovenian Film Centre (Tax rebate), Sviluppo Biennale College Cinema.
L’opera include una special track, Il Mio Nome è Lala di Assalti Frontali feat. Luca D’Aversa, estratto dall’ultimo album Courage.
La colonna sonora di Lala è della stessa Ludovica Fales.
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