Sei anni dopo la morte violenta del marito, Amelia non è ancora riuscita a superare il trauma. A complicare le cose, il difficile rapporto con il figlio Samuel, bambino irrequieto tormentato da incubi popolati di creature mostruose. La comparsa in casa di un inquietante libro intitolato The Babadook rende Samuel incontrollabile: per lui il mostro che lo perseguita è proprio il protagonista che dà il nome al libro. Per Amelia l’unica soluzione è far curare il bambino con sedativi. Ma qualcosa la sta mettendo a dura prova: qualcosa di pauroso e inspiegabile. [sinossi]
Il mondo dell’horror contemporaneo, come affermato anche da Emanuela Martini nell’intervista di Quinlan durante le giornate della trentaduesima edizione del Torino Film Festival, è davvero in fermento: dagli Stati Uniti all’Europa, dall’estremo oriente al Canada, giovani registi affrontano il genere per sperimentare nuove vie espressive e trovare una propria collocazione nel sistema produttivo mondiale. Non è da meno, ovviamente, l’Oceania, al punto che gli unici due film in concorso a Torino riconducibili agli stilemi dell’orrore provenivano proprio da quella zona del Globo: lo spassoso mockumentary vampiresco What We Do in the Shadows di Taika Waititi e Jemaine Clement dalla Nuova Zelanda e il ben più cupo Babadook dall’Australia.
Sono mesi che il mondo cinefilo interessato alle traiettorie dell’horror parla, in modo più o meno compiuto, dell’esordio al lungometraggio di Jennifer Kent: il suo Monster, cortometraggio con cui si dilettò per la prima volta come regista dopo aver iniziato la carriera davanti alla macchina da presa, aveva raccolto premi e applausi un po’ ovunque in giro per il mondo, e Babadook appariva come la sua naturale continuazione.
In effetti i punti in comune tra il corto e il lungometraggio sono indiscutibili, e Babadook si muove nel solco del suo predecessore, accumulando atmosfere paranoidi ma senza mai perdere di vista l’aspetto più puramente soprannaturale della vicenda: così la vicenda si snoda attraverso vari punti di svolta, concentrando dapprima l’attenzione sulle paure del piccolo Samuel nei confronti dell’uomo nero che di notte può ghermirlo e portarlo via dal suo letto, quindi sulla reazione a questa situazione insostenibile da parte di sua madre, che a distanza di sette anni non ha ancora elaborato il lutto per la morte del marito, ucciso in un incidente stradale proprio mentre stava portando la consorte a partorire in ospedale, e infine sul Babadook in persona.
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Ma chi è Babadook? Nulla più e nulla meno della quintessenza del babau: un concentrato di paure ancestrali, sensi di colpa mai realmente sopiti, mostruosi desideri repressi, ansie e frustrazioni della vita di tutti i giorni. Babadook è il terrore dei bambini, ma può prendere corpo soprattutto nel magma psicologico (psicotico) degli adulti, portandoli alla pazzia, e all’abiezione.
Partendo da strutturazioni da horror psicologico non prive di suggestioni polanskiane, Babadook sfonda poco per volta il muro del fantastico, fondendo reale e onirico in un unico spazio, perfettamente contornato e rifinito: in tal senso la sequenza alla stazione di polizia appare quanto mai essenziale e cruciale per comprendere il senso dell’intera operazione. In molti hanno storto il naso di fronte all’ultima parte di Babadook, quando l’orrore tangibile ed ectoplasmatico allo stesso tempo prende definitivamente il sopravvento, ma l’opera della Kent non avrebbe altro senso senza uno scarto così duro, concreto, estremo, e finirebbe semplicemente per muoversi sui passi di un horror suggerito ma mai deflagrante.
È in fin dei conti la scarsa propensione ad affrontare il soprannaturale nelle sue varie connotazioni espressive a far sorgere in alcuni dubbi sul film, che mantiene al contrario un rigore piuttosto ragionato e radicale sia da un punto di vista stilistico che narrativo. Diretto con mano salda dalla Kent, che non si lascia sfuggire l’occasione per sfoderare almeno un paio di colpi a sorpresa nei confronti dell’ignaro spettatore, e in grado di riflettere sul caos umano senza abbandonare mai la sua coltre di genere duro e puro, Babadook è un esempio di cinema che anche la produzione nostrana dovrebbe imparare a prendere in considerazione, accantonando snobismi intellettuali stantii e antistorici. In attesa che ciò accada ricordatevi di non aprire per nessuna ragione la porta quando sentirete i malefici rintocchi “babadook, dook, dook”…
[Thank you, Quinlan!]
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