Per amor vostro_locandinaAnime del Purgatorio

Anna è stata una bambina spavalda e coraggiosa. Oggi, è una donna “ignava”, nella sua Napoli, che da vent’anni ha smesso di vedere quel che davvero accade nella sua famiglia, preferendo non prendere posizione, sospesa tra Bene e Male. Per amore dei tre figli e della famiglia, ha lasciato che la sua vita si spegnesse, lentamente. Fino a convincersi di essere una “cosa da niente”. La sua vita è così grigia che non vede più i colori, benché sul lavoro – fa la “suggeritrice” in uno studio televisivo – sia apprezzata e amata, e questo la riempia di orgoglio. Anna ha doti innate nell’aiutare gli altri, ma non le adopera per se stessa. Non trova mai le parole né l’occasione per darsi aiuto. Quando finalmente, dopo anni di precariato, riesce a ottenere un lavoro stabile, inizia il suo affrancamento da questo stato. Anche dal marito, del quale decide finalmente di liberarsi. Da quel giorno affronta le tante paure sopite negli anni, come quella di affacciarsi al balcone di fronte al mare…Perché sa che quel mare è per lei un oracolo. Il mare unico elemento ancora non contaminato dal suo sguardo grigio.

Di Napoli, Andy Warhol ebbe a dire: “Amo Napoli perché mi ricorda New York, specialmente per i tanti travestiti e per i rifiuti per strada. Come New York è una città che cade a pezzi, e nonostante tutto la gente è felice come quella di New York.”. Se si deve ipotizzare una risposta ideale a questa lettura della città la si può rintracciare nelle parole di Domenico Rea:

«Ma Napoli, Napoli bella della mia gioventù, com’è diventata?»
«È orribile. Altro che odore di mare, che mi dicevi. Odore di merda come qua. Ma qua è la nostra merda»

Napoli, la bella Napoli della gioventù (d’Italia unita), è protagonista di un paio di titoli che, tra quelli presentati alla settantaduesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, sembrano destinati a rimanere impressi nella mente e nel cuore. Il primo è Bagnoli Jungle, viaggio in totale libertà tracciato da Antonio Capuano e ospitato nella Settimana Internazionale della Critica come film di chiusura. Il secondo, che ambisce addirittura alla conquista del Leone d’Oro, è invece il ritorno di Giuseppe M. Gaudino al lungometraggio di finzione, dopo oltre tre lustri passati a dirigere documentari, spesso insieme a Isabella Sandri (Scalo a Baku, Maquilas, Storie d’armi e di piccoli eroi, Per questi stretti morire).

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Quando alla Mostra del 1997, la prima delle due edizioni dirette da Felice Laudadio, venne presentato al pubblico e agli addetti ai lavori Giro di lune tra terra e mare, venne naturale issare Gaudino sul podio dei registi italiani a cui affidare le chiavi della cinematografia nostrana: erano anni che il cinema italiano non dava alla luce un esordio così coraggioso, libero, lontano da qualsiasi apparentamento – anche da quello dei salotti della Roma “bene”, mostruosi gorghi in cui la Settima Arte finisce per essere inglobata, inghiottita, digerita. La sperimentazione espressiva, mai distante da un profondo impeto passionale, dell’esordio di Gaudino, ha lasciato echi anche nel corso del decennio successivo.

Anche per questo il ritorno in concorso a Venezia con Per amor vostro sembra dover riannodare i fili di un rapporto interrotto in maniera troppo brusca. E bastano le prime inquadrature (già i titoli di testa) per annullare i diciotto anni di attesa. Il cinema di Gaudino è ancora lì, intatto, impuro e meticciato per scelta estetica e politica. Ma il tempo è passato. Il cinema è andato oltre, perfino in un gorgo produttivo come quello italiano. E allora Gaudino immerge i panni nello Stige del digitale, lavorando in post-produzione per eccesso ma anche per difetto. Asciuga l’immagine, privandola del colore – tranne esplosioni cromatiche che fanno tremare il quadro nei ricordi infantili e volatili della protagonista Anna, e ritinteggiature al montaggio, per definire i contorni di un immaginario mai accomodatosi sulla norma – ma allo stesso tempo inserisce giochi di effetti speciali, con la testa di Valeria Golino che si fa una e trina, feroce nella sua rabbia indomita e (in)controllata.

È un cinema profanatore, quello di Gaudino, anti-sacrale eppure aggrappato alel fugaci certezze di una fede che si fa a sua volta meticcia, tra retaggi pagani e mitologia cristiana. Anche Anna può essere una santa, forse, ma deve imparare a volare, e ad accettare lo schianto. È a sua volta carnefice, anche se la sua ansia di vivere la pone inevitabilmente come vittima di una società imbastardita.

Valeria Golino vince la Coppa Volpi come Miglior Atrrice a Venezia72
Valeria Golino vince la Coppa Volpi come Miglior Atrrice a Venezia72

Perché la Napoli di Per amor vostro è già il Purgatorio in terra. Non c’è bisogno di altro. Anime che si muovono prigioniere di se stesse, su cui si incolla la camera di Gaudino, nevrastenica, umbratile, umorale. Cinema rapsodico non per vezzo autoriale ma per necessità intima di uno sguardo che non vuole allinearsi e cerca traiettorie di fuga in un panorama fin troppo standardizzato Standardizzato come quello del set televisivo, illusorio sogno moderno in cui si crogiola il popolo, ma anche valvola di sfogo da un appartamento che è trappola, alcova e incubo.

Tutto, in Per amor vostro, digrada verso gli inferi. Come se il bradisismo attorno a cui si muoveva il viaggio di Giro di lune tra terra e mare fosse diventato etica stessa del girare, del mettere in scena, di organizzare per immagini. L’essere umano annaspa nel caotico coacervo dantesco che è la vita, ma può ancora fare delle scelte. La scelta, come quella di (ri)prendere la vita e di montarla. La scelta, come quella del cinema.

Esagitato, violento e ispido, il secondo film di Giuseppe M. Gaudino conferma le qualità di un cineasta che non ha pari, né simili, nell’Italia di oggi. Si può tentare un riallaccio ideale con il Federico Fellini di Giulietta degli spiriti, ma si tratta di un paragone che non può restituire la brama di esprimersi di un film come Per amor vostro. Un’opera rumorosa, cantata, vibrante, miglior titolo italiano del concorso e dell’intera Mostra, insieme a Non essere cattivo di Claudio Caligari.

[Thank you, Quinlan!]

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