È in corso a Roma fino al 13 novembre il MedFilm Festival, giunto alla edizione numero 21, sotto la guida sicura della fondatrice Ginella Vocca, che si avvale di uno staff sempre più all’altezza di questo importante appuntamento sulle cinematografie del Mediterraneo: dall’autore Gianfranco Pannone, curatore della sezione relativa ai documentari, ad Alessandro Zoppo, che cura i cortometraggi, fino a Giulio Casadei, responsabile della programmazione.
Opere come Mountain e Until I lose my breath illuminano la scena dei primi giorni di programmazione. Il primo, dell’esordiente regista israeliana Yaelle Kayam, colloca in un luogo insolito e sovraccarico di rimandi d’ogni genere – il cimitero ebraico sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme – la quieta tragedia di una famiglia lacerata dal contrasto tra stili di vita inconciliabili.
Presentato a Venezia 2015, Mountain mostra il turbamento fisico e spirituale di una donna devota alle tradizioni (e al marito docente alla Scuola talmudica), ma consapevole che il mondo non può limitarsi alla pur struggente visione della dorata cupola del Tempio del Monte, su cui si affaccia la casa di famiglia, scavata nella roccia e da lei chiamata con innocente ironia “l’angolo dei vivi”.
La dicotomia morti/viventi permea i sentimenti della donna, che scopre per caso che tra le lapidi si consuma sesso a pagamento, organizzato da una banda di balordi. Il contrasto tra etica religiosa e mercimonio sarà per lei fatale, conducendola a scelte estreme.
Il secondo film, della regista turca Emine Emel Balcı, è un’opera tributaria del cinema dei fratelli Dardenne: il ritratto, grigio e disperato, di Serap, una ragazza che le circostanze della vita (orfana di madre da anni, il padre camionista sempre in viaggio, la sorella sposata con un ignobile figuro) costringono ad un pesante lavoro precario in una fabbrica tessile nei sobborghi di Istanbul. Serap fa di tutto per raggranellare i soldi che le servirebbero per trasferirsi con il padre in un alloggio decente e stabile, arrivando a sopportare che il cognato la perquisisca per cercare il denaro per l’affitto della stanzetta in cui vive. La cinepresa segue ogni istante della quotidiana battaglia della ragazza, svelando passo dopo passo la sua strategia per raggiungere l’obiettivo, per il quale lotta “fino a non poter più respirare”; alla fine, però, scoprirà di aver perso per sempre i legami familiari e sceglierà la libertà per sé.
La forte presenza femminile al MedFilm (un terzo dei registi sono donne, ben 27 in tutto il programma) è indice, come scrivono i curatori del Festival, della ribellione come sola opzione “di chi non accetta più un ruolo subalterno assegnato dalla società o dal destino”. Mustang, altro splendido film dalla Turchia, è l’ideale trait d’union tra rappresentazioni coraggiose e appassionanti di mondi che ogni giorno di più scopriamo non essere così distanti come si pensa.