Vivere in un paese di 4 milioni di abitanti (umani) e di 40 milioni di ovini deve generare qualche inevitabile complesso di inferiorità e più di qualche paura latente. Sarà per esorcizzare tutto questo che dalla Nuova Zelanda arriva questo horror parodistico che si prende gioco del fenomeno, ipotizzando gli effetti di un mondo in cui, a seguito di un esperimento genetico sfuggito al controllo, le pecore diventino carnivore e attacchino l’uomo.
In realtà Black Sheep si iscrive in quel filone che, sempre timidamente ma con risultati più che discreti, sta cercando di ricavarsi una nicchia come sottogenere del cinema horror. Sfruttando la scia di titoli abbastanza riusciti come Undead, Slither e Severance, il film diretto da Jonathan King diverte più per la comicità insita nel soggetto stesso che per l’effettiva presenza di scene parodistiche.
Certo, vedere una pecora che attacca a morsi un uomo, grondando sangue dalle fauci, non può che far sorridere. Così come non mancano fugaci quanto riusciti scambi di battute d’effetto (che puntano per lo più sui giochi di parole) e nemmeno personaggi macchiettistici che prendono in giro gli abitanti della campagna neozelandese (si pensi alla riuscitissima nonnina sadica). Ma dal punto di vista semiotico (così come i canoni del genere oramai richiedono), il film è un horror a tutti gli effetti: da citare al riguardo, i notevoli effetti speciali che riguardano tanto gli ovini “in fase d’attacco”, quanto gli umani quando si trasformano in caproni carnivori. A curarli è stata la Weta Workshop, che ha curato lavori di ben altro spessore tecnico made in New Zeland, come Il Signore degli Anelli e King Kong.
Da citare infine l’intento non solo parodistico, ma anche ecologista della pellicola: come si addice ad un buon horror, la frecciatina politica non può mancare e qui è rivolta alle sperimentazioni genetiche sugli animali, volte a creare super-allevamenti. L’effetto secondo Jonathan King non può che essere… la ribellione degli ovini! Il che fa il paio con l’esilarante e riuscitissima satira contro gli ambientalisti: tutto e il contrario di tutto insomma, come a dire che gli eccessi sono da biasimare sempre.
Insomma, data la brevità del lavoro, l’asciuttezza della trama, qualche battuta onestamente esilarante qua e là e un ottimo lavoro su fotografia e makeup, Black Sheep si pone come uno dei più riusciti lavori del suo genere (e ci si chiede perché esca a ben due anni di distanza dalla sua realizzazione): piacerà moltissimo ai cultori dell’horror e riuscirà a divertire gli altri. Ma attenzione se siete sensibili alle scene splatter: qui non mancano e l’effetto è garantito!
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