Una dolorosa, sanguinante, inesorabile discesa agli inferi nel nuovo, atteso, lungometraggio firmato dal documentarista e mago della ripresa cinematografica Daniele Vicari. Quest’omonima trasposizione del romanzo di Gianrico Carofiglio, Il passato è una terra straniera (Premio Bancarella nel 2005), opera ispirata a sua volta dal Demian di Herman Hesse, durissima analisi della dicotomia inconciliabile tra il bene ed il male, tra la luce ed il buio che albergano in ognuno di noi, come antitetici demoni che combattono per il predominio sulla nostra anima, è la prova evidente di quanto un bravo scrittore abbia bisogno di un bravo regista per imprimere sulla pellicola le proprie parole.

Con le parole dello stesso Vicari: “Nel romanzo di Gianrico ho visto subito l’opportunità di fare un film privo di compromessi e di ipocrisie, di poter andare diritto al cuore delle mie paure, sperimentandomi in un territorio pericoloso e affascinante, quello tra film di genere e romanzo di formazione. Un territorio di mezzo, indeterminato e incerto, che permette di moltiplicare gli interrogativi di partenza all’infinito: cos’è il bene, cos’è il male, cos’è l’amicizia, cos’è l’amore, cos’è la violenza, cos’è la giustizia. […] La mia è la prima generazione ad aver sperimentato questa sospensione temporale, infatti è dagli anni novanta che si parla di “eterni adolescenti”. E nell’eternità si può soltanto restare identici a sé stessi, cioè marcire nella propria condizione”.

Ed è questa eterna stasi che Giorgio, 22 anni, interpretato da un Elio Germano in stato di grazia, evita come la peste. Quell’asfittico futuro, garantito dall’aver fatto felici i suoi (che non saranno, comunque, mai felici) fidanzandosi con la pariolina giusta, quella di buona famiglia, quella che si schifa se lui le regala i libri e sorride soltanto quando lui le dona oggetti inutili-costosi, poco importa se acquistati con i soldi del gioco d’azzardo, quella da mantenere con il lavoro giusto (“gli manca un esame, farà il magistrato”), con la gabbia giusta.
A questa gabbia, Giorgio si nega…abbracciando quello che Lucas chiamerebbe “il lato oscuro della forza”, incarnato dal demoniaco ed affascinante Dorian Gray della Magna Grecia, il mefistofelico Francesco (il tarantino Michele Riondino, un nome da ricordare).

Inizia così un viaggio, letteralmente, verso le proprie viscere, sino al tragico epilogo perché, come recitava il titolo del film di Indro Montanelli, i sogni muoiono all’alba. Commento visivo a questa dilaniante sofferenza interiore – alternata ad alcune delle scene di poker più belle che il cinema italiano ci abbia mai regalato (Regalo di natale di Pupi Avati è un parallelo inevitabile ma collaterale perché, qui, ci troviamo più dalle parti del bellissimo Rounders) – una Bari notturna, costellata di sequenze in auto da manuale (impossibile, in questo caso, non pensare all’esperienza maturata da Vicari in Velocità massima).
Il regista ha così commentato le sue scelte di inquadratura: “Questo sprofondare di Giorgio in sé stesso, non poteva non essere raccontato in soggettiva, con tutto ciò che ne consegue: immagini ambigue, sfocate, sfuggenti e allo stesso tempo violente come solo i sogni e i ricordi improvvisi sanno essere”.

Se un neo, in conclusione si volesse trovare in questo film, il cui livello qualitativo è decisamente elevato per lo standard italiano, esso risiede – probabilmente – nella, quantomeno improbabile, scelta di casting delle interpreti femminili che, eccezion fatta per la splendida Maria Jurado (protagonista azzeccatissima della scena più dura del film, di una delle due…in realtà, quella che ricorda il meraviglioso Requiem for a dream…e la parola “sogno” ricorre!), sembrano quasi ritrovarsi per caso sul set e ciò, da un lato, indirettamente e non intenzionalmente, aiuta il film, facendo sì che lo spettatore si concentri sul sesso forte che, qui, è l’assoluto protagonista.

Il passato è una terra straniera, infatti, è una storia di uomini che sbagliano e pagano. Sono anni che Elio Germano (penalizzato, in questo caso, dalla sovraesposizione: come non pensare, infatti, al suo Baldini in Il mattino ha l’oro in bocca?) commenta sarcasticamente i numerosi premi ricevuti come miglior attore esordiente. Vicari, invece, va avanti come uno schiacciasassi…a prescindere dai riconoscimenti (inadeguati al suo talento) della critica. Entrambi potranno, dopo questa prova di valore, considerarsi protagonisti a tutti gli effetti della storia del cinema italiano.

Forse, come recita l’adagio, è proprio quando il livello medio (tranne felici, recenti, eccezioni) è così basso, quando il gioco si fà duro…che i duri scendono in campo…ed il pubblico, miope ed anestetizzato dalla plastica, finalmente li nota! Chapeau.

Logout

You May Also Like

More From Author

6Comments

Add yours
  1. 5
    Luisab

    uno dei film più interessanti della festa del cinema di roma. attori bravi, soprattutto germano, sceneggiatura interessante… da vedere

+ Leave a Comment