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Premiato al Festival di Berlino con il Panorama Audience Award, quello diretto da Eran Riklis potrebbe apparire come il classico “animale da festival”, ossia una pellicola che tratta di un tema politico, prodotta a girata nel luogo e dalle genti che ha per protagonisti e fondamentalmente troppo impegnata per non essere considerata un’opera di nicchia. Il giardino di limoni prova almeno a sfatare l’ultimo luogo comune, ponendo la vicenda politica su un piano allegorico, che dona alla narrazione un lieve umorismo sotteso e la capacità di far riflettere “senza impegno”.

La vicenda è tanto semplice quanto basilare e umile è l’approccio scelto da Riklis: una donna palestinese possiede un bellissimo giardino di limoni, ereditato da generazioni; il Ministro della Difesa israeliano si trasferisce ad abitare proprio dall’altra parte della coltivazione e i servizi segreti reputano la presenza degli alberi troppo pericolosa, in quanto possibile base per attacchi terroristici. Da qui la decisione di far abbattere tutti i limoni: decisione contro cui la povera donna, sola ma combattiva, si batterà in sede legale con tutte le sue forze.

La recinzione che i soldati pongono attorno al giardino non può che richiamare alla mente il tanto discusso muro che da anni divide parte dei territori israeliani e palestinesi. I ripetuti e quasi casuali incontri fra la protagonista e la sua inaspettata alleata (la moglie del ministro) sono il muto emblema non solo del film, ma di tutta una tragedia politico-militare lunga decenni: a separare le due donne, pur tanto simili e persino solidali, sono due culture, due lingue, quella politica dell’oltranzismo che entrambe non comprendono e 3000 anni di storia fatta di conflitti e diaspore.

Se i muti incontri fra le due – duranti i quali si attende con ansia un dialogo sempre vicino ma che mai arriverà (altro simbolismo rimarchevole) – sono la traccia lirica del film, i personaggi di contorno ne definiscono quella sottilmente umoristica, quasi parodistica: la radio che, di sillogismo in sillogismo, scandisce il sottofondo delle giornate della sentinella; l’incapacità quasi ridicola di percepire l’umana sofferenza e di provare empatia da parte degli uomini dei servizi segreti; il comportamento minaccioso e ingiustificato di “amici” e parenti che mettono in guardia la protagonista circa il rispetto della famiglia. A volte si sorride, a volte si fa fatica a comprendere come realtà del genere possano avere un fondo di verità, altre volte si prova persino commozione perché proprio non si capisce e non si può giustificare.

Sicuramente siamo di fronte ad un riedizione politicamente schierata del Davide contro Golia, ma non si può negare al film di Riklis un profondo realismo (sottotraccia tra mille allegorie), una toccante umanità e uno sforzo notevole nel cercare di mostrare la realtà proprio senza quei filtri culturali da film militante: un tentativo apprezzabilissimo per un risultato da non perdere. Consigliato a tutti.

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