ultimatumterra

Scott Derrickson (già regista de L’esorcismo di Emily Rose) riprende in mano il classico del 1951 diretto da Robert Wise, con tutto il relativo fardello di rischi che questo tipo di (sempre più frequenti) operazioni comporta. Il compito sarebbe quello di aggiornare Ultimatum alla Terra al 2008 almeno sul fronte degli effetti speciali e magari su quello del coinvolgimento emotivo: ma sul primo punto sembra di essere tornati indietro di qualche anno, mentre sul secondo il racconto regge per meno di metà durata, prima di perdersi nella superficialità e nella scontatezza.

Se tuttavia si può essere relativamente clementi sul fronte relativo alla sceneggiatura (sempre di remake si tratta e la storia – almeno quella – non poteva essere cambiata), di certo non si può dire lo stesso per gli effetti speciali. Da una parte, insomma, abbiamo una vicenda che esordisce coinvolgendo e mantenendo vispi per almeno mezz’ora, nonostante dialoghi ridicoli e situazioni improbabili (valga per tutti la scena in cui la protagonista viene prelevata dal governo), ma che poi si perde tentando di tagliare qua e là, a discapito dei nessi logici e soprattutto della credibilità; dall’altra parte c’è un uso superficiale e fugace della tecnica CGI che riduce il robot gigante a un pupazzone non dissimile da quello del film del 1951 e limita le scene veramente spettacolari a sequenze frettolose.

La storia, per chi si fosse perso l’opera di Wise, è quella di un alieno (Keanu Reeves) che atterra a Manhattan sotto forme umane e a bordo di una navicella spaziale a forma di globo. Ad un team di scienziati (tra cui la dottoressa Benson, interpretata da un’anonima Jennifer Connelly) viene affidato il compito di capire che forma di vita abbiano di fronte, vista la facilità con cui l’alieno e la sua navicella spaziale riescono a fronteggiare le armi dell’esercito. L’obiettivo dell’essere, di nome Klaatu, è quello di annientare il genere umano, ritenuto responsabile, da parte delle altre civiltà dell’universo, del declino del pianeta Terra.

Insomma, la cara vecchia parabola ecologista, che trova il suo massimo nella scena del dialogo fra Klaatu e il professore, fulcro del film e unico valore contenutistico che giustifica la visione dell’opera. Per il resto, anche gli attori, in primis la coppia protagonista, si limitano a svolgere il compitino senza tanto impegno. Un po’ come tutto il film, assolutamente non esaltante e velocemente dimenticabile. D’altronde se in America già si parla di “rischio flop” qualche motivo ci deve pure essere.

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