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8 sconosciuti. 5 punti di vista focali. 1 sola verità.
Prospettive di un delitto parte col piede giusto, non c’è che dire. Pete Travis mette in scena un thriller concettualmente interessante: riprendere, attraverso svariati punti di vista, un catastrofico avvenimento (ammiccando più o meno velatamente, e in chiave moderna, al capolavoro di Akira Kurosawa, Rashomon). Purtroppo la carne al fuoco è talmente tanta da far scottare personaggi, sceneggiatori e produzione. Ma andiamo con calma…

In Spagna, presso una delle piazze più rappresentative, si tiene un importante accordo internazionale. Pochi istanti dopo l’intervento introduttivo del sindaco di Salamanca, nel momento in cui sarebbe toccato al Presidente degli Stati Uniti un proiettile trafigge il suo cuore. Da quell’istante è il panico. La folla spaesata e impaurita fugge in ogni direzione mentre cinque persone tentano di interpretare gli avvenimenti in maniera del tutto personale.

Sebbene l’incipit iniziale prometta quantomeno un thriller differente dal solito classicismo narrativo, la verità è che rimane soltanto una buona idea di partenza poiché, nell’atto pratico, il film non riesce a convincere. Se difatti può risultare interessante capire i diversi punti di vista dei protagonisti, è altrettanto vero che stanca non poco rivedere lo stesso avvenimento per cinque volte consecutive – riproposto attraverso un veloce montaggio inverso – semplicemente variando prospettiva.

La necessità di trascinare l’attuale presente (post 11 settembre) in un contesto falsatamente reale e al tempo stesso paradossale (inseguimenti rocambolesci e sintomi di dolore inesistenti), è chiaramente una necessità produttiva/commerciale al pari dell’appannato World Trade Center di Oliver Stone. Insipida reclame patriottica proiettata al ricordo facile. Frasi come “Non la fermerete. Questa guerra non finirà mai” minano irrimediabilmente la base di intrattenimento superficiale intessuta dal novello Barry L. Levy, con Vantage Point (questo il titolo originale) alla sua prima sceneggiatura per il cinema. Se per gli americani l’attacco presidenziale puo’ essere un dramma di grossa portata (lo testimoniano quei blockbuster legati dalla medesima origine come Independence Day – campione di incassi nel ’96), per il pubblico europeo appare come l’ennesimo esercizio tecnico atto a dimostrare una supremazia – motivato dal solito happy ending – che nella realtà non esiste.

Prospettive di un delitto è in definitiva un thriller riuscito solo a metà. Appassionante nell’immediato salvo poi scivolare, per mezzo di chiassosi rewind narrativi e situazioni concluse in fretta e furia, verso una dimensione banalmente vuota e stereotipata. La regia è la sola ancora di salvezza su cui si aggrappa l’intera produzione e per la quale il pubblico ringrazia; divertito si, ma con un pizzico di disappunto per quello che poteva essere e invece non è stato.

 

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6Comments

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  1. 4
    homer84

    Perchè hanno capito che le serie sono maggiormente esportabili, più vendibili (le tv comprano le serie oggi, non più i film), hanno vita più lunga e fidelizzano meglio lo spettatore. Ergo, le fiction USA di oggi sono fatte meglio dei film: hanno maggiore spessore sia tematico che stilistico. Sono film in miniatura.
    Semplicemente, gli conviene così, come sempre.

  2. 5
    Vito Sugameli

    Hehehehe.. grazie. Sempre qui per servirvi. 🙂
    Effettivamente il trailer funge da ottimo specchietto per le allodole, camuffando volutamente un prodotto vuoto a perdere.

    Paradossalmente in “IuEsEi” funzionano più le serie tv che non i grossi blockbuster. Chissà perché…

  3. 6
    Mr Osama

    Ottimo pezzo, davvero ben scritto.
    E un grazie di cuore: mi hai risparmiato di andare a vedere il solito polpettone targato “IuEsEi”, che magari uno ci abboccava, sapendo che il regista è lo stesso dello splendido tv-movie (ma oltre Manica li sanno fare, mica come la fiction su Rino Gaetano) dedicato alla strage irlandese di “Omagh”.

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