In tempi in cui il ministro degli interni afferma che bisogna essere cattivi con i clandestini – e questo il giorno dopo che tre italici balordi hanno dato fuoco ad un cittadino indiano – può essere utile segnalare questo documentario indipendente realizzato da Andrea Segre, Dagmawi Yimer e Riccardo Biadene.
Il film, che ha ricevuto il patrocinio della sezione italiana di Amnesty International e il Premio Don Luigi Di Liegro 2008, dovrebbe essere obbligatoriamente mostrato a gente come il suddetto ministro, nella speranza che possa capire cos’è davvero il fenomeno dell’immigrazione clandestina.
Proprio in questi giorni, infatti, il Parlamento italiano sta per ratificare il trattato tra l’Italia e la Libia, con cui la prima appalta di fatto alla seconda la protezione dei nostri “sacri” confini, chiudendo entrambi gli occhi sui metodi utilizzati per raggiungere l’obiettivo: i disperati in fuga dall’Africa in guerra (Sudan, Ciad, Somalia, Eritrea) vengono trattenuti per un tempo indefinito nelle sordide galere libiche, sottoposti a vessazioni d’ogni genere da parte dei gendarmi di Gheddafi – sempre, beninteso, che riescano a sopravvivere ai trafficanti d’uomini, dopo aver attraversato deserti e altopiani stipati in 50 su una Land Rover…
I racconti delle odissee di Fikirte, Dawit, Senait, Tighist, Tsegaye, Damallash, Johannes, Tsegaye, Negga sono raccolti da Dagmawi, un giovane etiope dai profondi occhi neri che hanno visto l’inferno prima dei suoi compagni di sventura. Per fortuna, Dag ne è uscito vivo e, una volta giunto a Roma, si è messo a lavorare con una onlus italiana per dare sostegno ai migranti approdati fin qui.
Il documentario, realizzato con la consulenza giornalistica di Stefano Liberti e Gabriele Del Grande e quella storica del professor Alessandro Triulzi, è stato proiettato nei giorni scorsi al Cinema Aquila di Roma.
Chi voglia saperne di più, e magari organizzare proiezioni collettive, può contattare la produzione. Esercenti coraggiosi cercansi…
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