Targato come un piccolo ed innocente prodotto indie della Ascendant Pictures, società a basso budget del produttore Chris Roberts (Slevin – patto criminale), Outlander è uno di quei film che, sin da subito, rischiano di presentare al loro interno una notevole eccedenza di punti critici e contrastanti cui un amante del genere storico (e non) potrebbe tranquillamente andare incontro, a partire dalle larghe finanze che hanno permesso al regista (Howard McCain) di quasi-esordire con una pellicola tutt’altro che low cost.
Affrancato dai produttori esecutivi de Il signore degli anelli e da un cast meritevole ma al contempo azzardato, dacché rischia all’istante di far letteralmente levitare le aspettative degli spettatori, il nuovo lungometraggio della Eagle ha già riscosso poco successo in America, dividendo con tutta probabilità le opinioni del pubblico statunitense.
Da una parte, difatti, l’enorme avventatezza di McCain e co-sceneggiatore (Dirk Blackman) di re-interpretare la leggendaria storia di Beowulf, qui affrontata in una stridente e a tratti logora chiave moderna attraverso l’inserimento di veri e propri alieni nel nodo narrativo – dalle sembianze guarda caso umane, e dalle armi naturalmente potenziate rispetto a quelle più «rozze» e terrestri. Dall’altra, il buon senso di rifletter attentamente sul dove e come ambientare un’accurata storia sui vichinghi, terreno più che fertile dopo una serie di pellicole che hanno visto protagonisti romani e spartani.
Outlander può esser secondariamente descritto come un’infinita serie di citazioni e ritorni: dagli spunti creativi tratti da Alien e da un episodio della prima stagione di Star Trek, alla neo-collaborazione tra il grande John Hurt (The Elephant Man) e Ron Perlman (La città perduta) dopo Hellboy, e tra il Produttore Esecutivo Don Carmody (Will Hunting – genio ribelle) e l’attore Jim Caviezel (La passione di Cristo) già complici in Angel Eyes – occhi d’angelo. Si sviluppa attorno ad una trama inizialmente debole e navigata, ma che riesce man mano a racimolare l’attenzione dello spettatore grazie ad alcuni, tipici incentivi degni di un discreto film d’avventura in stile Highlander, e alla semplice ma nuova ed accattivante idea di unire il nuovo al vecchio, la scienza al mito.
Siamo nel villaggio di Herot della Norvegia del 709 d.C., dove Wulfric (Jack Huston), dopo la morte di suo padre Halga, è un impulsivo ed aspirante Re aiutato dal saggio e carismatico zio Rothgar (John Hurt), giunto al trono per diretta successione. All’orizzonte, un’astronave che porta con sé tale Kainan (Jim Caviezel), guerriero umanoide di un altro pianeta la cui famiglia è stata uccisa da una delle creature che, a sua insaputa, finisce con lo schiantarsi in un lago, assieme a lui, e col sopraggiungere sulla Terra.
Ben presto scambiato per un pericoloso straniero del Nord, Keinan si ritroverà ad affiancare i vichinghi del villaggio nell’ultima battaglia della sua vita contro il temibile mostro-drago, costruendo le fondamenta di una grande leggenda e catturando le attenzioni della giovane figlia di Rothgar, la bellissima e combattiva Freya (Sophia Myles).
Non a caso la scelta di quest’ultima nel cast. La Myles, già esperta interprete di principesse in svariati filmetti d’azione-commedia come Il club dei rapimenti e rifacimenti quali il Tristano & Isotta di Kevin Reynolds, firma con questa pellicola l’ennesimo prodotto un po’ superbo ma tutto sommato passabile, che gioca con astuzia sugli stereotipi di un protagonista stoico e tormentato e sulla baldanzosa e mascolina eroina di turno, peccando forse un poco, a conti fatti, d’originalità, ma tracciandone al medesimo modo le sottili ombre in una buona e divertente sceneggiatura.
Peggior protagonista, il cattivone di turno, il mostro temuto e combattuto da Kainan/Caviezel, a cui è stato dato il nome di Moorwen. Un effetto speciale bioluminescente ed una malriuscita empatia che avrebbe dovuto rifarsi a niente popò di meno che King Kong.
Il film uscirà nelle sale italiane il prossimo 3 luglio.
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