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Alle spalle della carriera da regista di Peter Hedges c’è il solo Schegge di April, film davvero ben fatto, che può essere associato a questo suo secondo lavoro dietro la macchina da presa per la completezza con cui tratteggia il malinconico ritratto del suo protagonista (lì una ragazza, qui un vedovo con tre figlie). Se si aggiunge che Hedges è anche autore delle sceneggiature che ha diretto e che tra gli altri suoi script figura quello di About a boy, il quadro di un autore decisamente da tenere in conto è completo.

Non solo Hedges, comunque. L’altra piacevole sorpresa che si rivela in L’amore secondo Dan è la versione più impegnata e meno ridanciana di Steve Carell: per uno abituato a fare commediole di bassa lega (40 anni vergine, Un’impresa da Dio), sempre costretto a scimmiottare qua Jim Carrey, là Ben Stiller, trovarsi improvvisamente con in mano una sceneggiatura degna di questo nome e un personaggio a più di mezza dimensione deve essere quasi uno shock. Uno shock che Carell supera felicemente, quasi sorprendendo, pur rimanendo fra le righe.

Il protagonista è lui, un vedovo di mezza età, che dopo la morte della moglie ha sacrificato la sua esistenza attorno alla vita delle tre piccole figlie (la più grande è adolescente). Finiscono tutti e quattro in un weekend a Rhode Island, assieme al resto della grande famiglia. Lì lui incontrerà fortuitamente una donna (Juliette Binoche) e sarà quasi colpo di fulmine: durerà giusto il tempo di scoprire che lei è la nuova ragazza del fratello di lui. Da lì comincerà il calvario sentimentale dei due, tutto racchiuso in tre giorni.

Se la prova di Carell stupisce, non si può dire lo stesso di quella della Binoche, comunque più che positiva: semplicemente, da lei non ci si può aspettare di meno! Ma d’altronde la forza del film sta – come detto – nel sapere dipingere adeguatamente tutta una teoria di personaggi, talvolta indulgendo nell’esagerazione (senza sfociare nel macchiettistico), come accade con la figlia innamorata, ma sempre rimanendo in un complessivo equilibrio.

Dote che si apprezza in una commedia moderata e mai troppo comica, misurata anche nella scelta dei momenti umoristici, dosati con parsimonia ma con sicuro effetto. Si ride qua e là insomma, ma senza esagerare. Si riflette piuttosto sulle trasformazioni dei personaggi, sulla loro evoluzione, sul rapporto fra padre e figlie: tutto troppo facile, certo; tutto troppo esagerato, è vero (il protagonista è un’antologia vivente della sfortuna). Ma quella di Hedges vuole essere solo una commedia semplice e onesta. E vi riesce in pieno.

 

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