John Reilly è il classico attore comico da spalla. Nella sua lunga carriera poche volte è stato al centro della scena: lo ricordiamo accanto a Jack Black in Tenacious D, accanto a Baron Cohen in Ricky Bobby, persino in Chicago (oltre che in tanti drammatici famosi). Questa volta decide di fare da solo e non poteva scegliere script migliore per dimostrare le sue doti istrioniche. Walk Hard è un concentrato di comicità devastante, di ironia, di parodie azzeccatissime, di situazioni esilaranti. E Reilly ha davvero il physique du role per interpretare l’improbabile star della musica cui il film di Jake Kasdan fa da fake biopic.
D’altronde, nell’era delle biografie cinematografiche, quale modo migliore per prendere in giro i film sul mondo della musica e sui suoi protagonisti se non dar vita proprio ad un finto biopic. Walk Hard è un potpourri in cui c’è dentro di tutto: dalla parodia delle rock star (Elvis, i Beatles, Bob Dylan) a quella degli stravizi del mondo del rock (droghe, cliniche per la riabilitazione, groupie, produttori ebrei), passando per la caricatura dei biopic musicali (Io non sono qui – nella scena dell’intervista a Dylan – e Walk the Line, di cui tutto il film ricopia lo stile e la confezione – vedere la foto qua sopra per credere!). Si sprecano inoltre – come è naturale che sia – i cammei (compare, tra gli altri, un Jack Black / Paul McCartney) e i dialoghi con citazioni da note canzoni rock: dai brani di Tommy degli Who, a quelli di Ziggy Stardust di Bowie, passando per gli immancabili Beatles.
L’esordio del film poi è di quelli da antologia: per meno di 5 minuti sembra di stare davanti ad un film normale, poi la scena dell’omicidio più surreale che si sia mai visto (non staremo a descrivervela, naturalmente) rovescia tutto e sbatte in faccia allo spettatore – ancora per terra dalle risate – la vera essenza della pellicola. A seguito di questo involontario incidente, il piccolo protagonista perde il fratello, molto più dotato di lui, e promette che avrebbe faticato tutta una vita per avere successo per sé e per il lui. Diverrà un cantante pop-rock dell’America anni Sessanta, la famiglia lo rinnegherà, conoscerà enorme successo e eccessi di ogni tipo, passando in rassegna tutta la solita teoria di luoghi comuni da star della musica.
Tra leit-motiv impedibili (due su tutti: il padre che compare sulla scena solo per dire che “è morto il figlio sbagliato” e l’amico sorpreso nel bagno ad abusare di ogni tipo di droga), dialoghi surreali, rovesciamenti si senso e parodie da antologia, si snoda un film di rara comicità, un gioiello del genere parodistico, che non scade mai nella solita banalità del volgare cui spesso queste pellicole si auto-relegano.
L’unica svolta negativa la si ha nella seconda parte che, a furia di una canzone dopo l’altra, allunga il brodo fino alle due ore, smorza la tensione comica e diluisce la trama: il divertimento e il ritmo sono stati tanti e tali nella prima parte che sembra che il film sia scaduto. Ma non è affatto così. Rimane un solo consiglio da dare: quello di vedersi l’opera assolutamente in lingua originale, perché la vis comica del film si gioca tutto su certe espressioni, certe intonazioni, certi dialetti che sarà davvero impossibile rendere per intero in una traduzione.
PS: non perdetevi nemmeno le due locandine-citazione dell’edizione americana che trovate qua sotto. Geniali!
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