Ci sono due uomini e due donne. In coppia, e si amano in modo un po’ strano, ma neanche tanto.
Poi qualcuno muore.
Una valanga di spleen invade lo schermo e straborda. Il che ci porta a martellanti e splendidi primi piani, a molta pioggia, a molto freddo. La musica sale, assorda, disturba. Poi smette.
Si parla anche d’arte, ma – giuro – potrebbe trattarsi anche anche di corsi di recupero.

Detta così non si direbbe il caso di andare vedere questo film.
Così facendo, si potrebbe commettere un errore.

Non è che non si faccia vedere, questo ultimo lavoro del Signor Franchi, già autore del sorprendente La spettatrice. Si fa vedere, ma con passione. Se ne sconsiglia l’uso per distrarsi dalle fatiche. Si fa ben vedere al mattino se piove, in scure metropoli centroeuropee, in posti insomma dove l’esterno della sala si possa immediatamente rispecchiare nelle atmosfere contenute dalle immagini, uggiose, appunto, forse fredde, ma nient’affato insopportabili. Il punto è questo: se mal si sopporta Torino quando piove non si vada a vedere il nuovo film di Franchi e compari. Non è un film facile, è questo fa scappare molti, anche legittimamente. Ma inviterei diverse sensibilità ad affrontare senza paura il botteghino.

Io l’ho trovato un film deliziosamente sporco, imputridito dalla già menzionata pioggia. Il talento formale del regista e dei suoi tecnici è impressionante, si assiste ad una perfetta confezionatura di inquadrature e sequenze. E proprio questo mi ha messo addosso quella sensazione di sporco più profondo che mi mettono addosso i salotti troppo puliti. Mi son fatto l’idea che la cosa fosse voluta, e ringrazio.
E molto ancora si dovrebbe dire degli interpreti. Ognuno un mondo potente e imperfetto. Come accade anche in quel pezzo di realtà al di fuori dei set. La mia preferenza va in particolare a Monsieur Todeschini.

Vabbè. Ma perché ne dicono tutti un gran male?
Il perché si assista ad un coro di stroncature non va ricercato nel film stesso, che stanca sì, ma pure assai appassiona, e non è poco. E’ forse un problema di responsabilità. La mia impressione è che buona parte della critica online sia redatta da operatori che sentono fortemente il compito di indicare ai lettori il buono e il cattivo, di dare dei giudizi. Ma il critico non dà giudizi, non è un magistrato. Citando Marcantonio Lucidi – e non volendo addentrarmi oltre nel dibattito sulle definizioni – direi che il critico ha il compito di valutare se la dichiarazione estetica o poetica a monte dell’opera è stata rispettata nella sua realizzazione. E quindi: Paolo Franchi ha mai dichiarato di voler portare sugli schermi un torbido melodramma almodovariano? Una commedia amara alla Virzì?

Il regista è di quelli che in conferenza stampa squaderna riflessioni su “informale materica” sul “pudore della sofferenza”. Questo dichiara di affrontare e questo fa.
Responsabilità, dicevo, di chi scrive online tanto di che scrive su testate nazionali. Questi ultimi non sono stati tanto perentori sui demeriti del film. Che infatti è casualmente prodotto in collaborazione con una cordata RAI-RTI. Ossia i detentori del 90% del mercato pubblicitario televisivo, credo. Il perennemente in crisi cinema italiano, nella sua deteriore espressione intellettualistica, prodotto da scaltri capitalisti? Ora, oggettivamente, si può sparare a zero su una roba così? Se avessimo un minimo senso di responsabilità dovremmo ammettere che è meglio che questi soldi caschino qui che altrove. Di più non dimandare.
Tuttalpiù cerchiamo di capire se l’erezione di Elio Germano è sincera.

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