Motel WoodstockDopo Across the Universe e Io non sono qui, film musicali – finanche biografici – che rivisitavano rispettivamente quasi tutte le canzoni dei Beatles e di Bob Dylan in chiave stravagante e a tratti psichedelica, gli anni della protesta giovanile sembravano oramai sin troppo logori per esser riutilizzati in una nuova sceneggiatura sul Sessantotto ed i figli dei fiori. Ed è sostanzialmente per questo che, nonostante il regista Ang Lee ci abbia voluto riprovare riesumando la storia del più grande concerto rock mai esistito, Motel Woodstock rimane un biopic di serie B, seppur con la pretesa di essere molto di più.
Tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Elliot Tiber e Tom Monte, il cui titolo originale è Taking Woodstock: A True Story of a Riot, Concert and a Life, la pellicola vorrebbe raccontare il Festival di Woodstock con un occhio attento ai particolari soggettivi di chi ha realmente vissuto l’esperienza, avvalendosi dei celebri “tre giorni di pace e musica” previsti (in seguito divenuti quattro) per dare allo spettatore la sensazione di esser totalmente immerso in quel clima di ingenua distensione (molto probabilmente dovuta all’uso spropositato di svariate droghe) tipico dei giovani hippy che presero parte all’originale concerto del 1969, nel pieno caldo estivo di agosto.

Eppure, se anche il personaggio di Elliot, scrittore del romanzo e protagonista stesso della storia, prometteva un’iniziale nota ironica in una narrazione tanto impegnata da stancare chiunque, nonché quel tocco demenziale-autentico alla Little Miss Sunshine (non a caso la partecipazione di Paul Dano nel progetto), persino questi è destinato a perdersi nel tragitto che lo vede spostarsi dalla prima alla seconda parte del film, onestamente noiosissima.

Tutto questo perché, in effetti, Motel Woodstock potrebbe benissimo esser diviso in due tempi a causa di un’eclatante incoerenza verso se stesso: se, infatti, nel primo vediamo la storia del giovane e passivo Tiber alle prese con la ristrutturazione del Motel di famiglia – con una madre comicamente bisbetica ed aggressiva ed un padre affetto dalla classica sindrome di Stoccolma (letteralmente “rapito” dalle cattiverie di sua moglie) – nel secondo, lo osserviamo divenire organizzatore ufficiale dello spettacolo e, con profonda tristezza, esclamare frasi come: «nessuno di quei ragazzi del concerto è costretto a far colazione con i suoi genitori!», facendo soccombere la sua natura solitaria e altruista di fronte a quella massificazione propria della generazione sessantottina.

La quale è qui descritta come totalmente priva di personalità, in maniera tutt’altro che originale e, se vogliamo, con una punta di scopiazzatura da parte di Ang Lee di quelle scene bellissime e pittoresche del già citato Across the Universe, in cui Lucy, Jude e gli altri protagonisti del musical montavano su un autobus coloratissimo assieme al famigerato Mr. Walrus [Nota del caporedattore: la loro guida durante il trip è il Dottor Robert, mirabilmente interpretato da Bono Vox] della canzone dei Beatles, e salpavano alla volta della cosiddetta “Blue People”… e insomma, se il musical beatlesiano decantava l’aspetto più sincero ed intellettuale delle lotte interne contro la guerra del Vietnam, Motel Woodstock non fa altro che ridicolizzare l’intero movimento e, cosa ancor più grave, senza neanche farlo apposta.

Così, per quanto l’opera si avvalga di piccole comparse di attori come Emile Hirsch (Into the Wild), Liev Schreiber (regista di Ogni cosa è illuminata ed interprete del recente Defiance – I giorni del coraggio) e la britannica Imelda Staunton (Il segreto di Vera Drake), come pure del talento artisticamente fresco di Demetri Martin (già visto in Un boss sotto stress), bravissimo nel ruolo principale di Elliot, quest’ultima prova di Ang Lee è da considerarsi la versione soft di una biografia illuminante sul concetto di Woodstock e, se gli spettatori vorranno davvero comprendere le radici di un movimento tanto complesso come quello del Sessantotto, non dovranno far altro che trovare il modo di accaparrarsi una copia di Io non sono qui, mollando sul posto questo tentativo grossolana ed un pò azzardato.

In conclusione un gran peccato, considerando che Ang Lee ha dato vita a realizzazioni come l’adattamento di Ragione e sentimento (primo romanzo della Austen) e all’ormai cult-movie I segreti di Brokeback Mountain.

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