Alcuni anni fa uscì in Italia un piccolo film molto interessante, dal titolo Volevo solo dormirle addosso, del regista Eugenio Cappuccio, che parlava della crisi occupazionale ed in particolare dei tagli al personale operati da molte aziende, in termini di cassa integrazione, prepensionamenti e licenziamenti selvaggi. Il protagonista, Giorgio Pasotti, interpretava il ruolo di un manager in carriera individuato dalla propria azienda come tagliatore di teste dei suoi stessi ex-colleghi.

Su questa falsariga (quasi ne prendesse spunto benché con apertura e in contesti molto differenti) si muove il film statunitense Up in the air, tradotto in  italiano con il titolo Tra le nuvole,  ultima fatica del regista Jason Reitman, già  nominato all’oscar per il film Juno.
Il protagonista, un manager di alto livello ossessionato dai punti Millemiglia e dalle (numerose) carte magnetiche che danno accesso a club esclusivi in tutti gli aeroporti USA, altri non è che George Clooney, nel ruolo di uno scapolo impenitente e felice di esserlo, amante dei viaggi di lavoro e degli alberghi impersonali, con obiettivi ben chiari nella vita: raggiungere il massimo dei punti-volo che gli consenta un giorno di coronare il suo sogno (avere il privilegio di sedere accanto al pilota per un intero viaggio) e licenziare quotidianamente un preciso numero di persone  di ogni età, categoria sociale e situazione economico-familiare.

Ryan Bingham, il personaggio interpretato da Clooney) viaggia coast to coast sempre rigorosamente da solo, non disdegnando le avventure occasionali, finché due eventi non verranno a sconvolgere il suo tenore di vita e le sue prospettive umane e professionali: l’incontro con Alex, una donna-manager bella e misteriosa (Vera Farmiga), e la rivoluzione operata dalla sua azienda grazie a Natalie Keener, un’esperta di bilanci che, per tagliare le spese, inventa i licenziamenti per videoconferenza (Anna Kendrick).

Prima di questi drastici cambiamenti il protagonista aveva spensieratamente sorvolato – proprio come fanno gli aerei su cui viaggia attraverso gli States – la tragedia dei licenziamenti a tappeto, portati avanti senza alcuno scrupolo dalle aziende in crisi, che non si preoccupano delle conseguenze psicologiche ed economiche della perdita dell’impiego in età avanzata.

Il cuore del film, infatti, al di là delle giravolte esistenziali dei suoi personaggi principali, è l’alternarsi ai colloqui con i tagliatori di teste di persone che hanno realmente perso l’impiego: racconta Reitman di come si sia recato con il suo staff in due delle città americane più colpite da recessione e disoccupazione, Detroit e St. Louis, diffondendo l’annuncio che stavano cercando gente disposta a parlare davanti ad una telecamera delle propria esperienza. “Chiedevamo alle persone di raccontarci come avevano reagito il giorno in cui erano stati licenziati… abbiamo ricevuto tantissime risposte ed è stato molto triste e commovente”.

Se questa era veramente l’intenzione di regista e produzione, il titolo del film è forse fuorviante, visto il forte richiamo ad una realtà sempre più drammatica nel nostro mondo di disastri industriali globali.

http://www.youtube.com/watch?v=_m-Da8Tz4_E

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