Noto come sceneggiatore prim’ancora che come regista, Terry George, autore dell’ottimo Hotel Rwanda e dello script di Nel nome del padre, si riserva anche qui regia e adattamento cinematografico (dal romanzo omonimo di John Burnham Schwartz): ma con un materiale estremamente promettente e ricco a sua disposizione, dimentica di metterci l’anima, riuscendo – a sorpresa – meglio come regista che come scrittore. Reservation Road ne esce incredibilmente come un film freddo e poco potente, seppure discretamente confezionato. Un’incredibile occasione persa per dar vita ad un dramma profondo e toccante a tutto tondo.

Non che la storia non si lasci seguire e non valga in pieno la visione, anzi: proprio lo spessore del soggetto e la sua carica (inespressa per larghi tratti) sono il cavallo di battaglia di un film che punta tutto sui sentimenti, sulle storie dei personaggi e su un dramma dai contorni epici, per disegnare il ritratto di un’America da far west, dove la giustizia occorre farsela da soli e la speranza si scontra con le fragilità umane.

A Reservation Road si incontrano e si distruggono irreparabilmente i destini di due famiglie e di due uomini in particolare: uno (Joaquin Phoenix) sta tornando dalla partita dei Red Sox in auto, assieme al figlio (affidato alla madre, da cui lui è separato); l’altro (Marc Ruffalo) è in sosta durante un viaggio con la sua famiglia. La macchina del primo travolge il figlio del secondo, uccidendolo senza prestare soccorso. La caccia al pirata della strada finirà per essere l’ossessione di un padre che non si dà pace e non crede più alle mezzi della polizia. Lo scherzo del destino vorrà che a fargli da avvocato finisca proprio il suo carnefice.

Il dramma si delinea come potente e di toccante attualità fin dalle prime scene. Ma è come se Terry George tendesse un arco per un’ora e mezza, senza mai lasciare sfogare l’immensa tensione in esso accumulata. Si aspetta sempre il momento catartico, l’esplosione nella scena madre: la si raggiunge a mala pena nel faccia a faccia finale, ma oramai sa piuttosto di espediente dell’ultimo momento, di risoluzione scontata di una storia che scorre sempre su binari prevedibili.

Eppure il cast è di primo livello (ai due protagonisti si aggiunge anche la sempre piangente Jennifer Connelly). Eppure le prove attoriali sono di sicuro spessore (meglio comunque Ruffalo – vero valore aggiunto del film – rispetto a Phoenix). Eppure la storia è sulla carta di una potenza tale da poter garantire lacrime e catarsi solo a leggerne e da giustificare in fondo la visione. E invece tutto è troppo calcolato, tutto troppo tecnicamente ben scritto: mentre il sentimento si sprigiona meglio quando lo si lascia esprimere liberamente e quando si conosce il dramma che si sta descrivendo. Questo manca a Reservation Road: partecipazione autentica.

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