“Voglio che oggi non pianga
nel mondo un solo bambino,
che abbiano lo stesso sorriso
il bianco, il moro, il giallino”.
Gianni Rodari
Crediamo si possa affermare che, per il periodo natalizio, le produzioni animate della Aardman – Sony Pictures, distribuite in Italia dalla Warner Bros, conquisteranno il pianeta, dal Sud al Settentrione, specialmente dopo aver portato in sala Happy Feet 2, la magica epopea dei pinguini imperatore in Antartide e Il figlio di Babbo Natale, un’avventura in 3D che prende avvio tra i ghiacci del Polo Nord. Sarebbe meglio dire “sotto” la calotta polare, visto che proprio lì si trova il centro operativo che si occupa della consegna dei milioni e milioni di regali che annualmente giungono sotto l’albero di altrettanti bambini di ogni parte del mondo.
Tale base consta di centinaia di postazioni elettroniche presso le quali si danno da fare migliaia di elfi al servizio di Babbo Natale, e agli ordini del primogenito Steve. Questi è un meticoloso organizzatore che utilizza al meglio ogni strumento e accessorio tecnologico al fine di allietare la festa più importante dell’anno. Inoltre, quasi un milione di elfi trasportati dall’ipertecnologica astroslitta S1 (150.000 kn/h), una specie di Enterprise rivisitata a mo’ di slitta, larga un miglio e lunga due, sono impegnati nel recapito “porta a porta” dei doni, effettuato nel tempo record di circa diciotto secondi da squadre di tre elementi ciascuna.
Babbo Natale non può che gongolare per la sua florida carriera, e per aver raggiunto il settantesimo anniversario di attività, anche se, di fatto, e soprattutto nelle ultime uscite, l’artefice è stato Steve, che non fa mistero di ambire al posto del vetusto genitore qualora (il giovane spera il prima possibile) questi si ritiri definitivamente. Del resto, il giorno successivo al 25 Dicembre non porta forse il suo nome? E poi è stimato enormemente dalla sua famiglia, che comprende anche Mamma Natale, giudiziosa consorte dell’omone rosso vestito, il vispo Nonno Natale, un vegliardo tradizionalista di 136 anni, che gode della compagnia di una mansueta renna domestica, e Arthur, il fratello più giovane, addetto del “Reparto Lettere a Babbo Natale”.
Chiamato dai genitori “il grosso enigma”, per via dei guai combinati nel recente passato, Arthur è un ragazzo piuttosto confusionario, ma sensibile, ingenuo e sognatore, sornione e generoso, appassionato della magia del Natale secondo tradizione. Difatti, nel caos dell’ufficio in cui è stato relegato, egli legge attentamente ogni singola missiva che arriva al Polo Nord perché crede che ogni bambino meriti un regalo per la ricorrenza della natività.
Anche la famiglia Natale passa la notte della vigilia e le altre festività, normalmente, nella tipica calorosa atmosfera, davanti al camino o alla tavola imbandita, discorrendo della riuscita dell’ultima missione, oppure passando il tempo con i giochi di società come “Natalopoli”. E in quella occasione, puntualmente, si accende un’aspra discussione sull’assegnazione dei segnalini: Babbo Natale, la slitta, la renna, la candela ecc. Stavolta, però, una notizia ben più importante contribuisce a turbare la “solita” serenità: per un fatale disguido una consegna non è stata eseguita.
“Alla faccia della tecnologia fanfarona di Steve”, pensa il nonnetto. Come rimediare? Steve dice: “Ho natalizzato ogni paese del mondo. Se manca solo un dono è un problema?” “Sì, certissimamente”, è convinto Arthur, il quale, tra le colonne di corrispondenza ricevuta, recupera velocemente la bella letterina illustrata di Gwen Hines, una bambina residente al numero 23 di Mimosa Avenue a Trelew, in Cornovaglia. La piccola, che s’interrogava su come Santa Claus riuscisse a consegnare i regali a tutti i bambini del mondo, aveva chiesto per Natale una bicicletta a rotelle Pinky Princess.
Mancano soltanto un paio d’ore al sorgere del sole, e al momento che i bambini hanno atteso tutto l’anno; non è giusto che Gwen debba rimanere delusa da Babbo Natale, e così Arthur si risolve d’intervenire. Con l’aiuto fattivo di Nonno Natale intraprende una spedizione a bordo di una vecchia slitta di legno e ottone (Evie), munita di una pariglia di otto renne in carne e ossa, un’antica mappa, della polvere magica, campanellini e quant’altro…
A bordo c’è anche la renna domestica, e perfino… un clandestino: si tratta di Bryony, l’elfo incartatore. C’è pochissimo tempo a disposizione prima che arrivi il mattino perciò i tre si dirigono in volo verso l’Inghilterra, ma l’impreciso calcolo della rotta li dirotta prima a Toronto, in Canada, dove portano scompiglio nel centro cittadino, successivamente nell’Idaho (USA), dove aggregano alle renne rimaste un’esemplare pubblicitario in metallo dorato; poi finiscono nella savana africana, più precisamente nel parco del Serengeti, in Tanzania, dove risolveranno fortunosamente altre disavventure con un branco di leoni; da lì a Trelew, ma in Messico: solo un caso di omonimia.
Mentre i minuti scorrono la peregrinazione continua, prima su una spiaggia di Cuba (Cayo Confites), dove Arthur è avvilito dall’insuccesso che si profila, poi i tre riprendono il volo verso l’Atlantico, prima di venir intercettati dalle forze della Nato, impossibilitate a comunicare con la strana astronave di legno, ottone e peli di renna, ritenuta una presunta navicella aliena. Riuscirà, infine, il figlio minore di Babbo Natale ad arrivare a destinazione in tempo, a consegnare la piccola bici rosa, e a salvare lo spirito della festività?
La risposta la giriamo agli spettatori che (da oggi) affolleranno le sale per trarre delizia da questo lungometraggio avvincente e pieno di colpi di scena. La storia si presta all’attenzione dei più piccini che vedranno il pericolo che corre la loro festa più amata mentre gli adulti potranno sorridere degli innumerevoli gadget tecnologici a disposizione degli elfi di Babbo Natale. Senza svelare oltremodo l’esito finale della vicenda, possiamo rassicurare il pubblico che il contrasto alla base del film, tra modernità e tradizione, rappresentato allegoricamente da Steve e Arthur, due fratelli caratterialmente “agli antipodi”, si risolve senza che ne abbia a patire la magia natalizia.
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Il figlio di Babbo Natale di Sarah Smith e Barry Cook si avvale infatti, nella versione originale, di un cast stellare che comprende James McAvoy, Hugh Laurie, Jim Broadbent, Imelda Staunton e Bill Nighy (rispettivamente Arthur, Steve, Babbo Natale, la di lui consorte e l’esplosivo Nonno Natale) e narra le peripezie di un viaggio di formazione che segue l’evoluzione interiore dei principali caratteri della storia. Il ritmo e la suspense sono quelli di un film d’azione, grazie ad una squadra di elfi perfettamente sincronizzata che vediamo protagonista di una dinamica sequenza che descrive l’operazione di disinnesco di un set di batterie Snovy (facile pubblicità autoreferenziale) all’interno di un giocattolo, la cui improvvisa anomalia funzionale avrebbe potuto svegliare anzitempo un bambino nel pieno dei sogni della notte più attesa dell’anno, con la conseguente rivelazione di Babbo Natale.
Insomma, Arthur Christmas (titolo originale della pellicola) è un’avventura ingegnosa, umoristica e divertente, nella migliore tradizione della Aardman Animations, che ha già creato successi planetari premiati con vari Oscar, come Wallace & Gromit, Galline in fuga e La maledizione del coniglio mannaro. Ai più attenti estimatori della casa di produzione inglese non sarà di certo sfuggito che stavolta, anche a causa dell’incendio dei suoi magazzini di Bristol (2005), la tipica tecnica di animazione “a passo uno” (claymation), che prevedeva la ripresa, con la macchina da presa, dei modellini e dei personaggi in plastilina appositamente creati, è stata soppiantata dall’animazione in computer grafica (CG) eseguita dalla Sony Pictures Animation, associatasi appositamente alla Aardman per la realizzazione di questo gioiellino di tecnica e sensibilità.
Estratto da PRIMISSIMA SCUOLA n. 4 dicembre 2011
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