Esiste una cinematografia europea che con grande maestria mette in scena, senza falsi pudori e senza retorica fuori luogo, i tratti distintivi della cultura di riferimento. Una cinematografia regionale – nelle note di regia Thomas Vinterberg, citando il protagonista, ne parla come dell’uomo scandinavo – che non si ferma a rimirare il proprio ombelico, ma allarga lo sguardo al di sopra delle miserie peculiari a questo o quel paese, portando lo spettatore ad interrogarsi su temi universali.

Con «Jagten – Il sospetto», l’ex enfant prodige alla corte di “re” Lars Von Trier, firma il suo capolavoro, liberandosi dagli orpelli stilistici del Dogma 95 e concentrando tutte le sue energie sul dramma di un uomo crudelmente colpito da una terribile ingiustizia.

Lucas, un fenomenale Mads Mikkelsen, premiato come Miglior Attore per questa interpretazione a Cannes 2012, è un maestro d’asilo, mite e appassionato; lo vediamo giocare con i bimbi, curare il proprio rapporto con il figlio adolescente malgrado l’ex moglie (con la quale lo vediamo solo parlare al telefono) faccia di tutto per ostacolarlo, iniziare timidamente una relazione con una collega…

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Klara è una delle bambine dell’asilo, verso cui Lucas appare particolarmente protettivo perché è la figlia più piccola di Theo, il suo migliore amico, e di Agnes, una coppia affiatata ma anche piuttosto litigiosa. Infatti, Klara perde spesso la strada di casa perché i due non si mettono d’accordo su chi deve andarla a prendere e, un giorno, Lucas decide di accompagnarla. La bimba gliene è riconoscente, anche perché puo così giocare con il cane di Lucas. Serenità, armonia, tutto sembra andar bene in questo villaggio della Danimarca.

Ma il quadro idilliaco si squarcia all’improvviso: dalla bocca innocente di Klara escono parole agghiaccianti, che raccontano di qualcosa che dovrebbe accadere solo tra adulti… Lentamente ma inesorabilmente, la macchina del sospetto si mette in moto e diventa un meccanismo infernale che, trasformandosi in certezza e quindi in condanna inappellabile, schiaccia Lucas, lo converte in un mostro, ne distrugge l’esistenza. Si scatena una caccia all’untore, l’amico di tutti viene dall’oggi al domani messo all’indice, bandito persino dai negozi del paese. Gli restano accanto solo il figlio Marcus, che lotta come un giovane leone contro i nemici del padre, e un amico che, forse per aver condiviso con lui tante avventure e sbornie, gli crede e lo sostiene nell’affermazione della sua innocenza.

Alla fine, Lucas trova nel whisky il coraggio di affrontare la comunità ostile e riguadagna la stima e l’affetto di Theo, il grande amico di sempre che però aveva vacillato di fronte a quelle che sembravano accuse credibili perché provenienti dalla sua amata figlia ma lo stigma, una volta penetrato nella mente dei benpensanti, è difficile da cancellare, e il buon Lucas lo scoprirà a proprie spese, proprio quando aveva ormai perdonato tutti quelli che gli avevano frettolosamente impresso un marchio infamante…

Vinterberg e il bravissimo Tobias Lindholm, giovane sceneggiatore di successo, allestiscono un dramma morale intenso e serrato, dal climax perfettamente regolato, in cui viene messa in scena la violenza che una collettività chiusa nei propri convincimenti può esercitare nei confronti dell’individuo ritenuto, a torto o a ragione, il trasgressore dell’ordine costituito.

Ottime, poi, le prove attoriali: oltre al già citato e premiato Mikkelsen, è addirittura stupefacente la resa della piccola Annika Wedderkopp nei panni dell’incosapevole carnefice di Lucas – in una  delle sequenze in cui viene interrogata dai “grandi”, un intermittente tic delle palpebre ne svelano tutto il disagio. Infine, è eccellente Lasse Fogelstrøm, l’orgoglioso rampollo che ha già sofferto tanto per la separazione dei suoi e non vuole vedere il padre seppellito sotto il peso di un’accusa tremenda quanto ingiusta, scaturita da una concatenazione di fatti abilmente escogitata dal destino avverso.

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