Sogni e delitti
Dopo la parentesi di Scoop nel campo che gli è più congeniale, quello della commedia, Woody Allen ritorna al dramma, alle situazioni e ai temi che aveva affrontato già in pieno e con grande successo in Match Point. Ma Sogni e delitti (traduzione decisamente arbitraria del titolo originario Cassandra’s Dream, ben più pregno di significato) altro non è che l’ennesima declinazione di Delitto e Castigo, con le uniche differenze – rispetto al film del 2005 – dell’aver collocato i personaggi qualche classe sociale più in giù e aver spostato la fase del castigo ancor prima di quella del delitto.
Per il resto, lo si può ritenere tranquillamente la brutta copia di Match Point: niente di nuovo sotto il sole dal punto di vista narrativo, un quartetto di attori che – seppur discreti – non sempre reggono il paragone con i 4 predecessori e una sceneggiatura che è costretta a ricorrere quasi costantemente ad una venatura latente e appena percettibile di umorismo per sorreggere un ritmo troppo basso e una trama decisamente scontata.
Non si pensi tuttavia di avere di fronte un prodotto scadente o tecnicamente superficiale: dietro la macchina da presa c’è comunque un genio che non lascia nulla al caso e dirige in maniera pulita e semplice, tradizionale ma sempre azzeccata, con l’inquadratura giusta al momento giusto e il classico piano sequenza nella scena madre. Anche qui, niente di innovativo, ma non sarebbe affatto giusto in primis chiedere l’innovazione ad un artista classe 1935 (ci accontentiamo tranquillamente dell’arte cristallina che riesce tuttora a mettere sullo schermo anche solo accendendo la macchina da presa) e in seconda istanza continuare il paragone con un capolavoro come Match Point, perché persino i grandi non producono continuamente opere di quel livello.
Eppure, anche la trama ricorda costantemente il film del 2005: qui a farla da protagonisti ci sono due fratelli squattrinati (Ewan McGregor e Colin Farrell), l’uno col vizio del gioco e delle scommesse, l’altro ambizioso e fanfarone senza motivo (il vero alter-ego del protagonista di Match Point). Il primo perde una valanga di sterline a poker, il secondo tenta di conquistare il cuore della femme fatale di turno (e qui c’è tale Hayley Atwell laddove lì c’era una certa Scarlett Johansson…). Si ritroveranno a chiedere aiuto al ricco zio (Tom Wilkinson), che in cambio chiede loro il più grosso dei favori: eliminare fisicamente un suo pericoloso dipendente.
L’aver spostato il raggio d’azione all’interno della classe medio-bassa permette ad Allen di giocarsi l’attraente carta del castigo ben prima della fase del delitto, con i due costretti ad arrabattarsi tra pegni e scommesse perse. E per lunghi tratti sia McGregor che Farrell riescono a calarsi splendidamente nella parte (ma meglio il secondo, a tratti travolgente, rispetto al primo). Poi subentra una certa scontatezza, si sorride qua e là e infine tutto finisce come si poteva immaginare conoscendo i personaggi. Ma si esce dal cinema comunque soddisfatti, perchè la stoffa c’è (e non lo scopriamo di certo ora, d’altronde!) e anche quando scrive e dirige in sordina, Woody Allen rimane sempre Woody Allen.