L’ultimo rapporto Anica sullo stato dell’industria cinematografica è confortante: gli incassi al solo botteghino sono cresciuti del 12,9%, sebbene il numero delle pellicole sia diminuito ben del 7,6%. Ma è tutto oro quello che luccica? Dipende da punti di vista. Se si considera che il cinema italiano ha subito un aumento di incassi del 44,5%, ma le pellicole italiane sono diminuite del 10,1% e se ci si unisce il fatto che il vero exploit del 2007 sono stati i filmetti adolescenziali alla Tre metri sopra il cielo, si intuisce che questo grosso aumento di indotto è derivato esclusivamente da un certo tipo di pubblico, da un certo tipo di film e soprattutto a scapito di altro tipo di produzioni di più elevata caratura (visto che il numero di pellicole è in netta diminuzione).
Insomma, si produce meno (e forse anche peggio), ma si vende di più il prodotto di bassa lega. Ai cineasti e agli esercenti potrà non importare, anzi saranno più che lieti dell’aumento delle entrate. Ma chi analizza criticamente dall’esterno l’aspetto culturale (e non economico) della vicenda non ha di che stare allegro. D’altronde la cultura di un popolo non può crescere da un anno ad un altro e se i finanziamenti continuano ad arrivare solo a quelle produzioni che assicurano l’introito a scapito della cultura, non si può nemmeno pretendere che sia il cinema ad innalzare il livello delle masse. E non continuino a venderci la scusa che questi incassi aiutano anche il cinema “di nicchia”: allora come mai il numero di film italiani è in calo del 10%?
A queste considerazioni fanno da contraltare quelle di Riccardo Tozzi, presidente dell’Anica: “E’ il segno che si punta e si premia la qualità. Aumentano le coproduzioni di film italiani e crescono gli investimenti che sono saliti del 21% rispetto al 2006. E’ la prova che il cinema italiano è in salute e diventa appetibile anche per gli stranieri. Al duopolio Rai-Medusa – continua Tozzi – si va pian piano sostituendo un mercato più ampio nel quale intervengono “player” stranieri potenti come Universal, Warner o Disney. E anche le banche cominciano a investire. Oggi solo 6-7 Paesi al mondo hanno un’industria del cinema, in Europa solo Italia e Francia. I nostri sono prodotti di qualità e differenziati nei generi, come si legge dal rapporto. Per la prima volta – prosegue – osserviamo che da noi c’è una produzione per giovani e la risposta è eccezionale: i giovani vanno a vedere film italiani”.
Sì, ma quali? Su 121 film prodotti, 51 sono drammatici e 35 commedie (più 16 documentari, 6 d’avventura, 5 thriller, 4 d’animazione e 4 horror). Commenta Tozzi: “E’ la dimostrazione che oggi le cose sono cambiate e non si pensa solo al film comico come accadeva fino ad alcuni anni fa”.
Sarà… Ci sembra piuttosto che sia cambiata la confezione, ma il prodotto sia rimasto tristemente lo stesso.
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