Tette e culi in paradiso per dare luce all’altra faccia del mondo, quello che si piega esplicitamente al potere alimentando un sogno, che accetta di farsi riempire le mutande di denaro senza rinunciare a darlo gratuitamente, che coltiva un talento per metterlo a disposizione del godimento del prossimo.
Dopo Mary, Abel Ferrara gira a Roma, papalina, ipocrita, bigotta e democristiana, Go Go Tales, il suo Paradiso fatto di libertà, improvvisazione, dissipazione di fortune ed edificazione di elevati sentimenti. Willem Dafoe è un barcarolo che stenta a governare una zattera su un fiume in prossimità di una cascata. Il regista proietta su di lui la sua visione tanto illogica quanto concreta dell’arte e lo immerge nella direzione di un locale di lap dance cercando di riportare in superficie un po’ d’amore. Gli incassi sperperati al lotto, l’affitto indietro di mesi, un fratello socio parrucchiere affermato che decide di chiudergli i rubinetti e le spogliarelliste che rivendicano la paga non impediscono all’illuso di continuare a credere nella fortuna, nel successo dei suoi artisti, nel gioco del lotto come nel suo saper dare la cosa giusta a chi entra nella sua zona d’azione.
Dietro la metafora del locale per adulti che fallisce c’è tutta la difficoltà di un uomo di inseguire un sogno a pancia piena, di alzarsi quando si è indebitati fino al collo, di pensare al bello accerchiati da brutti ceffi che rivendicano ciò che non gli si dà da troppo tempo. Oltre il paravento libertino, belle natiche e turgidi capezzoli, si nasconde l’anima di un sognatore che scava negli anfratti per restituire luce a chi in un mondo in vendita aspira ancora a qualcosa di impalpabile. Dopo aver ampiamente fatto esibire le bellezze senza mostrarne le nature, aver lambito il baratro e messo in discussione l’impalcatura del luogo, Ferrara vira decisamente verso un ottimistico surrealismo, i numeri si incasellano, le ragazze mostrano la sensibilità di un’anima occultata da corpi statuari, gli scettici si meravigliano mentre i disfattisti sono costretti a cercarsi un’altra gemma da ridimensionare.
Buona la prova degli italiani, Stefania Rocca e Asia Argento su tutti, baci ai cani compresi, ennesimo escamotage per far parlar di sé anche quando sarebbe più opportuno perseguire quella verità che il regista continua a pedinare con la sua macchina da presa. La profonda leggerezza dello sguardo di Ferrara lascia al pubblico la sensazione che la libertà è pericolosa solo per chi vorrebbe circoscriverla, che il cinema deve farci sognar e che anche quando sparge sangue, abbonda in male parole o mostra gli interpreti come mamma li ha fatti, il regista è in missione per conto del bene.
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