L’America ha sposato Gabriele Muccino. Lanciato dal successo de La ricerca della felicità, il regista italiano attende l’uscita di Seven Pounds (ancora con Will Smith), ha diretto il pilot di una serie tv e sta producendo un film su Pavarotti. Il tutto sempre in America. In più sta producendo una pellicola inglese con Alessandro Gassman: Four Fathers, storia di quattro italiani venuti a New York per i loro figli e costretti a rimanervi dopo i rispettivi divorzi.

A pochi mesi dall’uscita americana (che avverrà il 12 Dicembre), Muccino parla proprio di Seven Pounds, paragonandolo ad uno dei migliori film di Iñárritu: “Secondo me ha delle somiglianze con 21 Grammi – ha detto il regista. – E’ la storia di un uomo di successo, benestante, un uomo che con leggerezza e distrazione viveva una vita serena e anche molto felice, il quale in un gravissimo incidente stradale uccide, per errore, sette persone, tra cui la sua fidanzata. Entra in un tunnel depressivo dal quale riesce ad uscire solo con un piano perverso quanto folle e cioè uccidersi e donare i suoi organi a 7 persone. Il problema è che finirà per innamorarsi della persona cui deve donare il suo cuore”.

Continua Muccino: “E’ un film particolare e anche difficile, ma la potenza della storia per me era tale che il pericolo dell’impresa non mi ha spaventato abbastanza, anzi mi ci sono tuffato dentro. Il film è il tragitto di un uomo che non può convivere con il senso di colpa di aver tolto la vita a sette persone e quindi sente di aver perso il senso della propria esistenza. Ma la sua anima viene riscattata da un atto d’amore che lo riporta su un piano esistenziale diverso, lo aiuta a farlo sentire vivo, a fargli credere che la sua vita non è stata inutile. Secondo me il film ha una tragicità e un romanticismo pazzesco”.

Il regista ha parlato anche della sua preparazione al film, dicendo che ha passato diverse ore nella sale operatorie accanto ai chirurghi. E spende parole anche per Will Smith, dicendolo “cambiato come attore rispetto al La ricerca della felicità, una storia con cui in qualche modo lui, che la povertà l’ha conosciuta davvero, si era molto identificato. In questo film ci siamo dovuti inventare completamente un personaggio mentalmente disturbato, disperatamente ossessionato dal bisogno di aiutare gli altri. Io e Will ci siamo chiusi in una stanza per cinque settimane a leggere e capire il copione, a incontrare specialisti”.

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