Ken Loach è uno di quei rari esempi di artisti-registi in grado di trasformarsi nel tempo pur rimanendo fedeli a se stessi, ed il suo ultimo film, Il mio amico Eric (Looking for Erik), lo conferma pienamente, inoltrandosi fra generi cinematografici noti e territori inesplorati, sempre in linea, comunque, con la sua filmografia, amata da diverse generazioni per film-cult quali Riff-Raff, La canzone di Carla, Bread and Roses, Terra e Libertà, My name is Joe.
In questa pellicola Loach, attraverso l’espediente dello sport e le “apparizioni” di Eric Cantona (il famoso calciatore francese del Manchester United), idolo dello sfortunato ed omonimo Eric, protagonista del film, tratteggia con la consueta sapienza gli sbandamenti sociali e relazionali della società attuale, anglosassone e non solo.
“È un film che parla di amicizia e del prendere atto di quello che sei – afferma il regista – È un film contro l’individualismo: siamo più forti insieme che da soli. Parla della solidarietà che nasce fra amici, tra i tifosi di una stessa squadra di calcio, ma anche tra colleghi di lavoro. Può sembrare una cosa scontata, eppure non è un’idea così popolare di questi tempi. Per lo meno da una trentina d’anni a questa parte, da quando abbiamo smesso di essere compagni di viaggio e siamo diventati tutti concorrenti in competizione gli uni con gli altri.”.
Eric Bishop, un postino in piena crisi esistenziale, tormentato dal rimpianto di aver abbandonato l’amata moglie Lily quando la figlia era appena nata, preoccupato per il coinvolgimento del suo figlioccio in una rete criminale ed incapace di prendere decisioni destinate a dare una svolta alla sua vita, è ormai sull’orlo del suicidio e non basta più a risollevarlo la goliardia dei colleghi, un gruppo di coinvolgenti postini sempre pronti a far baldoria che condividono con Eric la fede calcistica, la birra e gli spinelli e si sottopongono perfino ad un’esilarante seduta di auto-aiuto per confortare l’amico in difficoltà.
Le cose inizieranno a cambiare quando Eric si rivolgerà disperato al suo mitico confidente, Le Roi, l’adorato goleador Eric Cantona che, un bel giorno, si staccherà dal poster appeso alla parete, iniziando a conversare con il protagonista, elargendogli buoni consigli per rimettere insieme i pezzi della sua vita, fino ad architettare, con l’aiuto di Meatballs (il boss dei postini) e degli altri colleghi, una soluzione creativa per allontanare il figlio dal prepotente gangster Zac e dargli una lezione coi fiocchi.
“Un produttore francese, Pascal Caucheteux, ci ha proposto anni fa un incontro con Eric Cantona – racconta Loach – un calciatore straordinario, poiché sapeva che io e Paul Laverty, il mio sceneggiatore, eravamo tifosi di calcio. Così ci siamo incontrati ed Eric aveva alcune idee molto interessanti, in particolare la storia del suo rapporto con un tifoso. Ci è sembrato un tema interessante da esplorare: non solo l’aspetto spettacolare del calcio ed il ruolo che questo sport ha nella vita delle persone, ma anche gli aspetti legati alla celebrità, al modo in cui stampa e televisione costruiscono personaggi che agli occhi della gente assumono qualità soprannaturali.”
Bravissimi e stupendamente diretti i protagonisti del film, Steve Evets, nel ruolo di Eric il postino, il calciatore Eric Cantona in persona (nel ruolo di se stesso) ed i tanti caratteristi che ruotano intorno al film. Non mancano riferimenti di colore agli eventi sportivi inglesi, come nei discorsi nostalgici sui tempi passati in cui i prezzi dei biglietti erano più accessibili e gli sponsor e la televisione non dettavano legge sul calcio. Ancora una volta la maestrìa di Loach combina insieme il dramma proletario con la poesia delle relazioni, mantenendo intatto il suo tocco inconfondibile.
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