Triage

Dopo la valanga di premi ricevuti nel 2001 per «No man’s land» (tra cui l’Oscar per il miglior film straniero), il bosniaco Danis Tanovic ha dormito sugli allori senza combinare più nulla, firmando praticamente solo l’episodio più sperimentale del film collettivo sull’Undici settembre.

In realtà, il compito di scrivere la sceneggiatura, sulla base dell’omonimo libro di Scott Anderson, era stato affidato allo stesso Tanovic già nel 2002, ma prima di essere portato a termine il progetto ha richiesto molti anni, nel corso dei quali il regista ha perso quella selvaggia immediatezza che ha caratterizzato la precedente prova.

Infatti, mentre «No man’s land» restituiva con un’asprezza mitigata da massicce dosi di humor nero la crudele guerra nella ex Jugoslavia, Triage risente del peso ingombrante di una mega-produzione, che ha imposto star completamente fuori ruolo come Paz Vega e location iberiche anche per riprodurre un paio di strade di Dublino.

Di conseguenza, non riesce a coinvolgere come dovrebbe lo scenario di ordinaria brutalità di cui è testimone il fotoreporter interpretato dal pur bravo Colin Farrell, gettato insieme al più tranquillo collega-amico David (Jamie Sives) nell’inferno del conflitto kurdo, dove si svolge il nucleo incandescente dell’azione: qui il dottor Talzani, cui dà volto l’intenso Branko Djuric, esercita la pietas nell’unico modo possibile per un medico di guerra, giustiziando egli stesso i feriti incurabili previa burocratica assegnazione dell’apposito codice colorato – da cui il triage del titolo.

La scenografica trovata, in realtà, è quasi un pretesto per mettere in scena i tormenti del giovane Walsh (questo il nome del fotoreporter, irlandese come il suo interprete), il quale torna a casa sconvolto più dai sensi di colpa per la scomparsa dell’amico che dalla disumanità della guerra.

Il compito di liberare Mark dai suoi demoni viene assunto non dall’inetta moglie-mannequin (“Ma cos’è successo?”, esclama dopo aver visto le spaventose cicatrici del nostro, quasi che fosse caduto facendo la spesa al supermercato anziché esser tornato vivo per miracolo dal fronte), bensì dall’anziano padre di lei, psichiatra già coinvolto nel post-franchismo, di cui inizialmente il giovanotto diffida ma che saprà risalire all’origine del suo male oscuro – ovviamente azzeccato nella parte del maieuta il colossale Christopher Lee.

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