Alice in Wonderland
Se io avessi un mondo come piace a me, là tutto sarebbe assurdo: niente sarebbe com’è, perché tutto sarebbe come non è, e viceversa! Ciò che è, non sarebbe, e ciò che non è, sarebbe!
A dispetto del successo universale dell’epopea fantastica di Alice, e della grande quantità di trasposizioni cinematografiche o televisive a essa dedicate, risulta piuttosto difficile trattenere nella memoria una versione pienamente soddisfacente, o esteticamente compatibile con i testi scritti da Lewis Carroll. Il limite comune di tali realizzazioni consiste quasi sempre nella presentazione di una protagonista alquanto passiva di fronte agli strani personaggi e alle bizzarre vicissitudini che di volta in volta le si presentano. Risultato: opere fredde e meccaniche, prive delle magiche suggestioni evocate dalle pagine del libro.
Ecco perché abbiamo atteso con tanta impazienza l’uscita dell’ultima fatica di Tim Burton (1958), Alice in Wonderland, che si profila, a circa 150 anni dalla pubblicazione del volumetto illustrato, come l’opera di riferimento tra le traduzioni in immagini del celebre racconto per l’infanzia. Il geniale autore di Batman, Edward mani di forbice, La fabbrica di cioccolato, La sposa cadavere [nota del caporedattore: Nightmare Before Christmas! 😉 ] e di tanti altri memorabili capolavori, già premiato nel 2007 – a soli 49 anni – con il Leone d’Oro veneziano alla (folgorante!) carriera, ha inteso oltremodo caratterizzare il viaggio dell’eroina nel fantastico mondo sotterraneo, dotandolo di una forte componente emotiva, e ancor più umanizzando le stranezze mentali dei vari personaggi.
A quasi sessant’anni dall’uscita del cartone animato Alice nel paese delle meraviglie (1951), la Disney affronta una nuova avventura in cui le moderne meraviglie tecniche e i prodigiosi effetti visivi si combinano al fascino della storia. Il lungometraggio si avvale, infatti, di sequenze in grafica computerizzata, motion capture e tridimensionale, con aggiunte in live action. Il personaggio del Cappellaio Matto (Johnny Depp) è stato ripreso unicamente in un green screen appositamente costituito sul set. Terminate le riprese dal vivo, molte sequenze sono state rieditate in performance capture (tecnica utilizzata per Polar Express, La leggenda di Beowulf, A Christmas Carol), e altri personaggi animati in 3D sono stati aggiunti nel montaggio conclusivo.
Per quanto concerne la vicenda, invece, Tim Burton, ben supportato dalla sceneggiatura di Linda Woolverton (La bella e la bestia, Il re leone, Mulan…), che ha aggiunto alcune novità, ha sì attinto dai testi Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, ma anche dagli scritti minori di Carroll, passati alla lente della sua originale e celebrata visionarietà. Stavolta, però, Alice (Mia Wasikowska) è una diciannovenne che non ricorda assolutamente nulla del viaggio compiuto più di un decennio prima.
La ragazza, durante un’affettata festa vittoriana, al cospetto di tanti rappresentanti dell’alta società, scopre con disappunto di esser stata promessa in sposa a un ricco rampollo, Hamish Ascot (Leo Bill). Distratta dalla visione del Bianconiglio, Alice si allontana verso la boscaglia per seguirlo finché s’imbatte in una cavità del terreno che sembrerebbe la tana dell’animale. Fa per accostarsi al foro quando la terra improvvisamente sprofonda e la giovane piomba in un pozzo interminabile. All’atterraggio si ritrova in una vasta sala da dove avrà inizio l’itinerario nel Paese delle Meraviglie.
Anche in questo caso avrà a che fare con spade fatate, pozioni magiche, animali parlanti come il Bianconiglio, il Dodo, il Leprotto Bisestile, il Brucaliffo e lo Stregatto, personaggi decisamente strani come il Cappellaio Matto, i gemelli cicciotti e speculari Pinco Panco e Panco Pinco (Matt Lucas), figure animate come i fiori parlanti e le carte da gioco capitanate dal perfido Fante di Cuori (Crispin Glover), creature inquietanti come il Grafobrancio, simile a un orso, e mostri sanguinari come il Ciciarampa, al servizio della Regina Rossa (Helena Bonham Carter), la quale terrorizza il mondo sotterraneo.
Tra filtri rimpiccolenti e conigli ritardatari, interminabili Tea Party (“È sempre l’ora del tè, e negli intervalli non abbiamo il tempo di lavare le tazze.”), Alice supererà varie peripezie, scoprirà il significato dell’amore, farà conoscenza con la Regina Bianca (Anne Hathaway), e si unirà ai rivoltosi adoperandosi con tutte le sue forze per liberare il Paese delle Meraviglie dalla tirannide della malvagia e stravagante Regina Rossa.
Quindi, seppur con qualche variante, lo spirito allegorico delle favole di Lewis Carroll può dirsi fondamentalmente rispettato. In più abbiamo in dono le atmosfere dark tipiche dell’estro e della poetica di Tim Burton, accentuate dai fiabeschi scenari tridimensionali, e le divertenti pazzie del Cappellaio Matto (il solito Johnny Depp sopra le righe), che nel film assume un rilievo decisamente superiore rispetto a tutte e precedenti versioni.
Alice in Wonderland, allora, costituisce un’ulteriore versione del viaggio di formazione dell’eroina adolescente che oltrepasserà proficuamente la propria “linea d’ombra”; difatti, il suo percorso interiore e l’incontro con i vari personaggi della messinscena rappresentano la trasfigurazione (onirica o fantastica) dei mille problemi dell’individuo giovane, solo davanti agli ostacoli che ne determineranno l’accesso all’età adulta. Per questo riteniamo che la visione di questo grande spettacolo di cinema possa fornire divertimento e piacevoli emozioni sia ai grandi che ai piccini.
Tuttavia, il richiamo al sottotesto da parte dello scrittore britannico invitava i giovani lettori a mantenere l’innocenza del proprio stato infantile, quasi un invito a non crescere, e a “seguire il coniglio bianco” ossia il tramite verso il mondo fantastico, oppure verso una prospettiva nuova e sconvolgente del mondo reale. Tale indicazione è stata fornita anche in alcuni film che hanno scandito la storia della cinematografia: Shining (1980), Matrix (1999), Donnie Darko (2001)…
Questa condizione propria della natura umana che pone, dunque, in antitesi la fantasia e la maturità, pare risolvibile sul piano individuale con un accettabile compromesso: diventare grandi giorno dopo giorno, ma senza dimenticare di continuare a coltivare il bene più prezioso del nostro intelletto, l’immaginazione.
Estratto da PRIMISSIMA SCUOLA, n° 1-2 febbraio 2010
http://www.youtube.com/watch?v=DeWsZ2b_pK4