Ferrara vs Pasolini? Davide vs Golia? Welles vs Citizen Kane? Come si risolve la sfida titanica, epica, asimmetrica tra la il folgorante e folgorato Cattivo Maestro molto poco americano Ferrara ed il Moloch ipnotico ed atterrente del Gigante mediterraneo, italiano, oramai Classico, Pier Paolo Pasolini? E’ riuscito Abel a scalare questa Montagna Sacra? Ha provato a dipingere un grande affresco che non sarebbe mai stato però abbastanza grande oppure ha focalizzato il suo obiettivo su un particolare per il Tutto? Ma quale Tutto?
Un Precipitato di Senso, culturale, artistico, antropologico, come PPP apre sempre a nuove letture, interpretazioni, messe in scena che spostano, rendono sempre sfuggente l’ipotizzato Centro radiante di questa Sfinge. Ogni sua opera, letteraria, poetica, cinematografica, saggistica, cambia cromatismi alla luce dei tempi e dei luoghi in cui viene vista, rivista, letta, riletta.
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Ferrara, un po’ come il protagonista di Blow Up di Antonioni, ingrandisce Pier Paolo fino alla visione di quel particolare che svela molto altro, l’epifania di quel corpo nel parco come di quest’altro all’Idroscalo di Ostia; non per l’ennesima ipotesi sulla dinamica della morte ma come tentativo di risalire a quel Corpo vivente, nella sua ultima giornata. Pasolini in a day? Ogni momento, ogni incontro dell’ultimo bagliore ferrariano di Pasolini è una celebrazione di un Corpo Mistico, Sacro, perché altro non potrebbe fare uno spettatore appassionato di Pasolini ma anche un regista/spettatore come Abel Ferrara, regista rotto a tutto, non certo una mammola, regista di Mondo, che ha fatto trent’anni di cinema nei peggiori set degli Stati Uniti e dell’italia, comunque le due patrie storiche del cinema.
Ferrara crea una Statua sentenziante, predicente, visionaria, raggelata, metafisica; Willem Dafoe non interpreta PPP, Dafoe è PPP, inducendo lo spettatore di Pasolini in una sorta di abbandono, di trance trascendentale, concentrata, per certi versi simile a quella più ambientale, diffusa, de La grande bellezza. In entrambi i film, nonostante lo spettatore razionalmente avverta cosa possa non essergli piaciuto, questo diventa secondario e sprofonda, dalla fine del film, in una Sindrome di Stoccolma e di Stendhal al tempo stesso che gli ingenera la Libido, di rivederlo e rivederlo ancora per capire cosa l’ha così affascinato, per placare un desiderio erotico di conoscenza .PPP, Pier Paolo Pasolini ma anche primissimo piano.
Il film ha un’inizio stravolgente, con lo “shining” delle inquadrature al montaggio di Salò o le 120 giornate di Sodoma, mentre Pasolini risponde in inglese a delle domande in francese. Il film di Ferrara è bifronte, può essere visto in italiano nell’ottimo doppiaggio di Fabrizio Gifuni, oppure lasciarsi andare alla versione in inglese ed italiano che estremizza la sperimentazione formale, ardita, di Ferrara in un film dalla struttura narrativa sovversiva, che prova a raccontare chi era Pasolini, immaginando come sarebbe evoluta, oltre la sua morte, la creatività, la coscienza, la lucidità di questo Poeta Rabdomante. Il corpo violato da Pino “la rana” diventa allora solo l’ultimo ineluttabile atto di una cerimonia sacrificale, religiosa che è stata tuta la vita di Pasolini.
Ferrara osa l’inosabile, girare il film che Pasolini ancora doveva girare, quel Pornoteokolossal di cui ci resta il soggetto; mette in scena il capitolo mancante di Petrolio ed ogni scena di Pasolini non è un atto di lesa maestà ma di amore filiale, sconfinato, struggente da parte di Abel Ferrara nei confronti del Poeta. Non figlio biologico ma artistico, come ogni artista non può che ritenersi figlio dei più grandi Padri che lo hanno preceduto. Il film di Ferrara, talvolta naif, talvolta incompleto, è però un “oggetto” unico. Sibillino, ermetico, forse esoterico. Il film non girato, le pagine non pubblicate che vivono sullo schermo, danno la sensazione inquietante ma incatenante dei messaggi satanici nei vinili ascoltati al contrario. Come immaginare scorsesianamente la vita successiva ad un Cristo morto sulla Croce o sotto le ruote di una GT.
Pasolini è un film che resterà, molto di più di ogni tentativo biografico, calligrafico, narrativo di raccontare la cosmogonia pasoliniana. E’ un film che verrà rivisto, alla ricerca sempre di nuovi sensi occulti, di altre suggestioni, di nuove spiegazioni a cui risponderà ancora con nuovi quesiti. Come ogni Sfinge.
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